VISIONI D'IMPRESA
17 novembre 2014
Tipografia Grifani Donati - Città di Castello
di Maria Luciana Buseghin
Marco Baldicchi, artista tifernate, presentando nel 2009 la mostra Pietre miliari - che ha riproposto una selezione di opere degli artisti, tifernati e non, realizzate con le tecniche dell’acquaforte, dell’acquatinta, della linoleumgrafia e della litografia nella “Tipografia Grifani Donati dal 1799 s.n.c.” nel corso del decennio 1999-2009, dando vita a oltre 100 mostre -sottolinea alcuni elementi che caratterizzano l’ambiente e l’attività di questa tipografia: l’essere luogo fuori dal tempo, la fatica del lavoro, la qualità dei prodotti che, perciò, costituiscono una forma di resistenza e di resilienza al progresso ma soprattutto al conformismo e alla globalizzazione. Resilienza allude alla capacità dell’azienda di adattarsi ai cambiamenti senza snaturarsi, alla volontà di salvare la tipografia, lasciando l’azienda cartotecnica di Cerbara per ritornare alla gloriosa vecchia sede di Corso Cavour impiantando la Fotolito Artistica, in un edificio sicuramente più scomodo ma ricco di memorie e di tradizione di un lavoro tipografico artistico il cui inizio risale agli assisani Francesco Donati e Bartolomeo Carlucci che ve la impiantarono distinguendosi per la produzione di libri e pubblicazioni di pregio.
Già nel 1817 il Donati, rimasto solo, introduce i caratteri bodoniani e alla morte del figlio Biagio, l’attività passa al nipote Giuseppe Grifani (da cui il cambiamento della denominazione), e, infine, alla famiglia Ottaviani, avendo Elisabetta Grifani, nipote di Giuseppe, sposato Alberto Ottaviani: sarà un suo nipote, Giovanni Ottaviani (detto Gianni), a rilanciare l’attività, insieme alla moglie Adriana Saporosi, introducendo anche la litografia su pietra, la rilegatura e il restauro dei libri.
Nel momento del rilancio della Tipografia nell’antica sede ex-convento di suore, Gianni Ottaviani escogitò di far rappresentare nella sede del laboratorio un evento teatrale tratto da La Biblioteca di Babele di Jorge Luis Borges del 1941: un successone che contribuì a riportare la gente in tipografia, racconta Gianni; del resto, già nel primo quarto del Novecento la Tipografia fu un covo di appassionati di teatro, scrive Tacchini, precisando che lo stesso Ernesto Grifani recitò fino alla fine degli anni Venti! La vita culturale tifernate dovette molto alle maestranze tipografiche dell’epoca che, unite da solidarietà amicale e lavorativa, convivevano felicemente e produttivamente, considerando l’antico laboratorio fondato da Donati la culla di un’attività che dava lavoro e dignità a tanti tifernati e in genere abitanti dell’Alta Valle del Tevere.[1]
Si tratta, infatti, dell’unico luogo in Europa dove sia possibile esercitare tutte e tre le tecniche grafiche tradizionali: la tipografia intesa nel senso di stampa a caratteri mobili come nel Quattrocento, la calcografia e la litografia su pietra. E tutto questo grazie alla testardaggine di Gianni e Adriana, eredi di generazioni di tipografi: entusiasti, fiduciosi, calorosamente accoglienti, competenti compositori a mano e progettisti che realizzano prodotti commerciali e artistici (biglietti da visita e augurali, partecipazioni nuziali ma anche per altre occasioni del ciclo della vita, diari e album, carte intestate e commerciali, manifesti, ex-libris, litografie, silografie, calcografie), e che in questo modo – oggi con la collaborazione dei figli Alberto, tra l’altro autore dei testi del sito e Milos, tipografo-stilista con le sue typo-shirt, magliette realizzate stampando su cotone elementi tipografici e fregi tradizionali – hanno ripreso la tipologia di lavoro commerciale e per enti locali in cui la Tipografia aveva trovato una propria specifica dimensione specializzandovisi nel primo quarto del Novecento.[2]
“Pietre miliari” dell’attività artistica tipografica non solo gli artisti e i tipografi, ma anche gli intellettuali che, come Roberto Lensi e Enrico Castelli, hanno ideato, con Gianni Ottaviani, il Museo delle Arti Grafiche, inaugurato nel 2005: un museo–atelier dove le attrezzature in mostra sono tutte perfettamente funzionanti ed utilizzate: dal Torchio tipografico Elia Dell’Orto 1864, alla Platina Tiegeldruk 1903, al Torchio a stella Bollito & Torchio del 1880, al Torchio calcografico Paolini 1960, al Torchio litografico Kruse 1906, alla macchina da stampa PianocilindricaWerk Augsburg 1910; strumenti essenziali, i caratteri in lega, legno e rame (oltre 536 casse, meravigliosi contenitori in legno con un fascino solo loro) e fregi cliché, silografie e galvanotipie, tutti originali.
Degli artisti che hanno lavorato in questo ambiente straordinario in cui si potrebbe dire che aleggi un genius loci tipografico – e senz’altro si avverte la presenza di tutti coloro che hanno impegnato tanto della loro vita e passione in questa attività nel corso di oltre due secoli – ricorderò soltanto Giorgio Ascani detto Nuvolo, tifernate, che, già a 14 anni frequentava la tipografia aiutando a comporre gli orari ferroviari della MUA (Mediterranea Umbro Aretina) per cui lavorava: nel “decennio degli artisti” realizzò opere caratterizzate dalla forma-libro, i Libri d’Artista, nati dalla collaborazione tra un tipografo, uno scrittore e un pittore. Quanto alla produzione di orari ferroviari, la Grifani Donati, dopo averli composti, all’inizio, per lo Stabilimento Tipo-litografico Scipione Lapi, li ha prodotti in proprio fino al 1993 e ne conserva tutte le matrici nel Museo.
Leggendo il volume di Alvaro Tacchini, edito per duecentenario dell’azienda, ricchissimo di ricerca e di dettagli, ci si snodano davanti agli occhi le vicende della tipografia testimone e per certi versi protagonista della storia economica, sociale e culturale tifernate, in particolare del Novecento, con la pubblicazione di periodici e numeri unici, tra cui “L’Alta Valle del Tevere. Rassegna bimestrale illustrata” pubblicata dal 1933 al 1940, che promosse il recupero di un’identità di vallata oltre il secolare retaggio di divisione tra Umbria e Toscana, dando voce a studiosi di notorietà internazionale e valorizzando le potenzialità iconografiche della rivista.
Alla fine degli anni Cinquanta l’azienda fu coinvolta nella crisi comune a tante altre tipografie a ciclo completo e tradizionale che nel ventennio successivo dovettero chiudere o trasformarsi fortemente per sopravvivere: anche la Grifani-Donati, in crisi finanziaria a fine anni Sessanta, causa insoluti del Comune di Città di Castello, dovette affrontare varie difficoltà e mutamenti di struttura societaria, oltre all’acquisto di una moderna macchina da stampa Rotaprint SK50 e all’affidamento della composizione a laboratori specializzati; infine, tra 1986 e 1994 Gianni e Adriana diedero vita a un’unità distaccata con sede a Cerbara dove producevano in stampa offset e confezionavano gli stampati, realizzando per primi in zona la spiralatura di calendari, opuscoli, ecc. Ed è stato proprio in quel periodo e in quella sede che i due provetti tipografi hanno cominciato a pensare alla tipografia-museo e all’accentuazione dell’aspetto artistico dell’attività cui accorsero a collaborare già nel 1995 artisti e intellettuali.[3] Il risultato è ciò che oggi possiamo ammirare e godere.
[1] Alvaro Tacchini, “Grifani-Donati 1799-1999. Duecento anni di una tipografia”, Città di Castello, Tipografia Grifani Donati, 1999, 173 pp., pubblicato in occasione del 200°: pp.149-150.
[2] Marco Baldicchi, Pietre miliari e Elogio della testardaggine (marco.baldicchi@alice.it): l’autore cita uno studio dell’Associazione Italiana Musei della Carta e della Stampa, pubblicato su Graphicus; la mostra fu allestita nell'ottobre 2009, nella Sala degli specchi di Palazzo Vecchio Bufalini a Città di Castello. Per la storia della Tipografia cfr. anche sito dedicato.
[3] Tacchini, op.cit., 1999, pp.137-138 e pp.161-166.
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