VISIONI D'IMPRESA

Museo Laboratorio Brozzetti

di Anna Lia Sabelli Fioretti

Defilato rispetto ai percorsi classici dei tour turistici perugini e quindi penalizzato nell’affluenza il Museo-laboratorio Giuditta Brozzetti sopravvive oggi grazie al sacrificio degli eredi perchè non godendo di sovvenzioni pubbliche sostengono tutte le spese di questa straordinaria testimonianza dell’abilità delle donne umbre nel campo della tessitura. La prima impressione che si ha entrando nella duecentesca chiesa sconsacrata di San Francesco delle Donne, ad Elce, dalle volte alte sette metri ed ampi finestroni, è di un sacro rispetto per ciò che in essa è contenuto. Reliquie della manualità muliebre e dell’operosità contadina, messe in mostra nell’ampia navata con gusto ma senza ostentazione, permettono di ripercorre la storia dei telai lignei a pedali, da quelli enormi ai più piccoli di uso “domestico” e di come si è evoluta la tessitura di lino, seta, cotone e canapa nel corso dei secoli.

Donna molto attiva e curiosa dopo essere stata direttrice della scuola elementare di Perugia Giuditta, nel 1921, si iscrisse alla Camera di  Commercio per aprire il primo laboratorio-scuola di tessitura a mano  di Perugia. Spesso, quando girava la sera per le strade semideserte  sentiva un forte rumore provenire dall’interno delle case contadine.  Erano le donne che non potendosi permettere di acquistare tovaglie,  lenzuola, strofinacci, corredi, finite le faccende domestiche, si mettevano al telaio e provvedevano da sole alle necessità della famiglia.  Frequentandole scoprì che le più brave andavano ben oltre la tinta  unita e l’ordito più semplice ma aggiungevano colori a strisce e piccoli  ricami geometri per rendere diversa la tela. Quei primi tentativi di trame più colorate sono oggi appesi ad una parete con attaccato un numerino, come le aveva catalogate Giuditta. Più una testimonianza che  una preziosità perchè i veri capolavori sono quelli che poi la Brozzetti  ha iniziato a produrre nel suo laboratorio seguita dalla figlia Eleonora,  dalla nipote Clara ed oggi dalla pronipote Marta. Giuditta acquistò  anche dei telai a jacquard del 1836, dove si lavora con le schede (una  sorta di progenitore del computer), recuperò i disegni della tradizione  tessile del ‘200 perugino, per intenderci quelli con il grifo e il leone,  la fontana, l’uva e i suoi tralci, ecc., poi andò alla scoperta dei tessuti dipinti nei celebri quadri del Pinturicchio,  del Perugino, del Signorelli e li riprodusse fedelmente. “La mia bisnonna” racconta Marta  Cucchia che ora, con una cooperativa di sole  tre persone, manda avanti il laboratorio museo, soffrendo il freddo d’inverno e per tutto l’anno delle difficoltà economiche del mantenere sempre aperta la  struttura (tutti i giorni feriali, il sabato e domenica visite guidate su  prenotazione) “era amica di Luisa Spagnoli. Si sono molto incoraggiate  a vicenda nell’affrontare, da donne, un’attività commerciale, la prima  nel tessile e l’altra con la maglieria. Giuditta più di 30 tessitrici, comprese quelle che lavoravano in case nei paesi dell’hinterland perugino  e negozi in tutta Italia, da Milano alla Sicilia. I suoi tessuti si distinguevano per la bellezza dei decori, molto armoniosi e simili all’originale  che individuava grazie alle sue ricerche iconografiche certosine e poi  faceva disegnare a Bruno da Osimo, un artista  xilografo marchigiano bravissimo”.  Tra le cose più belle in mostra spicca il tessuto  “Fiamma”, un Missoni ante litteram, inventato  a Perugia nel ‘600, molto invidiato da Firenze che non riuscendo a copiarlo con il telaio  l’ha rifatto ricamandolo con il punto Bargello  sulla tela. “L’ultima tessitrice morendo” racconta Marta “si è portata con il sé il segreto di  quel tessuto, io ho messo 4 anni per scoprirne  la tecnica. Si riesce a farne solo 8 centimetri  al giorno, è un tessuto invendibile”. Il museo  Brozzetti oltre a tramandare una tradizione  artigianale che ha avuto momenti fiorenti per  l’economia umbra tende a mantenere un collegamento, un allegorico filo di seta tra l’oggi e  il medioevo, “perchè le tecniche della tessitura  non possono essere scritte ma solo tramandate  da tessitrice a tessitrice. Se dovessimo chiudere” conclude Marta “non si saprebbe più come  si realizzano i nostri tessuti”.  

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