VISIONI D'IMPRESA
30 settembre 2013
I Musei Aziendali
Un racconto fra storia, tradizione e cultura
di Anna Lia Sabelli Fioretti
1 - Museo del Vino Lungarotti
L’ha scritto anche il prestigioso New York Times: nessun altro Museo del Vino al mondo è riuscito sinora ad eguagliare quello di Torgiano, fortemente voluto da Giorgio Lungarotti e realizzato nel lontano 1974 con grande perizia dalla moglie Maria Grazia, laureata in storia dell’arte. Considerarlo un museo d’impresa è forse sminuente. Del marchio Lungarotti all’interno delle antiche sale del piano terra e del mezzanino di Palazzo Graziani Baglioni non c’è traccia, se non nel logo “Fondazione Lungarotti”: è un esempio di museo privato “regalato” al mondo per la diffusione di una cultura antica. Tutto è partito da alcuni pezzi preziosi provenienti dalla loro casa, come una mano che racchiude un grappolo, resto di una statua in marmo, un tempo fermacarte da scrivania Giorgio e Maria Grazia viaggiavano spesso in Francia girando per vigneti, capitava quindi che visitassero musei del vino come quello di Barsac-Mouton Rotshild, a Bordeaux o quello dell’agricoltura di Beaune. E da lì, un giorno, hanno deciso insieme di realizzare un museo del vino a Torgiano. Qualcosa di unico, di diverso da tutti gli altri: un viaggio nella storia del vino attraverso l’arte. Un punto di aggancio con altre culture. Un’idea folgorante. Quindi niente tini, niente torni, niente attrezzistica come negli altri musei (se non un leggero accenno nel sotterraneo) ma contenitori di ogni tipo ed epoca, a partire dal III millennio a.C.: vasi vinari in terracotta, bronzo e vetro, documenti crittografici, divertissements, fiaschette, borracce, boccali da messa e osteria, un’imponente collezione di ceramiche e una altrettanto vasta di circa 600 incisioni antiche, tessiture e ricami, editoria antiquaria; persino 100 ferri da cialda, dolci tradizionali che si impastavano con il vin santo. La collezione è ricca, anzi ricchissima di pezzi straordinari (solo il candido vaso antropomorfo con gli occhi azzurri disegnato da Jean Cocteau e la testa di Bacco attribuita a Gerolamo Della Robbia acquistata in un’asta a Parigi valgono una visita), messi insieme con ricerca certosina dalla signora Maria Grazia, storica dell’arte e appassionata animatrice culturale che ancora oggi continua instancabile ad arricchire la collezione e ad aggiornarne i criteri espositivi, aprendo alla ceramica contemporanea non appena è riuscita ad ottenere dalla proprietà del Palazzo più superficie espositiva con altre stanze nel mezzanino. Ecco quindi la “bottiglia mamma” e il grappolo di Giò Ponti, l’anfora alata di Busti, la maschera da teatro di Kano Tatsunori e il piatto di Cocteau, la grande baccante di Nino Caruso. Il problema dello spazio sta diventando preoccupante perchè i 20 ambienti occupati dal Museo sono ormai saturi di vetrine, di oggetti e di pannelli. “Mamma vuole che il Museo si mantenga all’avanguardia, dinamico, sempre in crescita” spiega Teresa Severini, figlia del suo primo matrimonio, “e capace di presentarsi ai visitatori, circa 20 mila l’anno, per il 70% stranieri, lungo tre diversi itinerari informativi. Testi esaustivi ed approfonditi, sempre bilingue, per i visitatori più attenti e curiosi e con più tempo a disposizione. Poi un percorso più sintetico e infine delle didascalie veloci. A questi vanno aggiunti le audioguide e gli schermi interattivi per andare incontro al linguaggio dei giovani. E’ anche un museo “a misura di famiglia”, con programmi educativi dedicati a bambini e ragazzi, ma purtroppo non “a misura dei portatori di handicap motori”, date le barriere architettoniche di un palazzo cinquecentesco. Avevamo in effetti pensato anni fa di trasferirlo in un ambiente modernissimo, tra le vigne: un grande contenitore dai vasti spazi in cui poter ospitare anche degli eventi, ma è prevalsa la suggestione di questi ambienti carichi di storia, e così abbiamo scelto di restare qui”.
I reperti, oltre 3000, molti dei quali di altissimo rilievo, vengono spesso richiesti da esposizioni e musei di altri Paesi. “100 pezzi ce li ha chiesti recentemente il Vittoriano a Roma, l’iconografia della mostra è tutta nostra. Sarà un’esposizione propedeutica all’Expo di Milano nel 2015. Partecipiamo spesso a mostre, a Shanghai come a Tokyo o Mosca, riuscendo a trovare un aggancio con altre culture con argomenti mirati: dalla salute (il vino in farmacia), alla mitologia, dall’amore (Venere e Bacco, coppe d’amore, doni tra sposi e innamorati), ai contenitori da Messa, alla bicchierografia fino agli ex libris e all’iconografia libraria.
La grande intuizione del vino come ispiratore culturale ha fatto subito del Museo un attrattore di turismo specializzato (primo passo verso l’enoturismo, ha prodotto la nascita dell’Hotel a cinque stelle “Le 3 Vaselle” e del suo rinomato ristorante); ma oltre che di vite, l’Umbria è anche terra di olivo, e così Giorgio Lungarotti, verso la fine degli anni ’90 ha iniziato a pensare anche ad un Museo dell’Olio. La moglie Maria Grazia però non ne voleva sapere: quello del vino godeva di un primato assoluto, il secondo avrebbe avuto un ruolo secondario. Alla morte di Giorgio, però, in suo omaggio ha cambiato idea, anche qui con una felice intuizione, innovativa rispetto ai musei similari già esistenti, ed in tempi brevissimi ha messo in piedi anche il MOO. Ma questa è un’altra storia, tutta raccontare.
2 - Museo Storico della Perugina
Dal nettare degli Dei al cibo degli Dei. Dal vino al cioccolato. Il Museo Storico della Perugina a differenza di quello di Torgiano racconta passo passo la nascita e la crescita di un’azienda che ha fatto la storia di Perugia e dei suoi abitanti. E’ il classico prototipo del museo d’impresa perchè unisce all’archivio e ai reperti del passato, all’evolversi della produzione, del packaging, della comunicazione, del lavoro e della tecnica, anche la visita alla fabbrica in attività attraverso un corridoio sospeso che gira intorno ai macchinari e agli operai, corridoio creato nel 1963 per sorvegliare le maestranze ed oggi utilizzato per “curiosare” direttamente nel cuore della produzione.
Il Museo di San Sisto, nato nel 1997 per i 90 anni della Perugina, deve la vita a due circostanze favorevoli. La prima riguarda la dedizione, la cura, la tenacia con cui la proprietà ha collezionato, da quando l’azienda è nata nel 1907, tutto il materiale prodotto ed utilizzato: dai macchinari alle scatole di caramelle, dai documenti alle fotografie e persino ai video d’epoca. La seconda circostanza riguarda il concorso indetto dall’Università degli Studi dedicato alle aziende che più di altre avevano saputo rappresentare l’Italia all’estero. Il primo premio, vinto appunto dalla Perugina, consisteva nell’allestimento di un archivio che in pratica è diventato il padre del Museo. Méta di ricerche di esperti e di giornalisti l’archivio nel 1997 è stato trasformato da Nestlé in una esposizione vera e propria che rendesse omaggio all’impresa e alle due famiglie, Spagnoli e Buitoni, che l’hanno fondata e resa grande, investendo sulla cultura di Perugina, l’intento di rivolgersi ad un pubblico molto più vasto ed eterogeneo. Obiettivo raggiunto alla grande se si pensa che la media annua è oggi di 68 mila visitatori di ogni ceto ed età con una punta di 10-15 mila durante Eurochocolate.
In pratica il museo ha cambiato pelle perchè attraverso le testimonianze del passato riesce a raccontare il presente. Anche il profilo dei visitatori non è più lo stesso: oltre le consolidate frotte di scolaresche ora arriva anche il visitatore adulto e scolarizzato in special modo straniero, molti i gruppi organizzati italiani, richiamati dal profumo del cacao ma anche tantissimi curiosi con la voglia di conoscere le tecniche di lavorazione, la loro evoluzione e persino la storia d’amore anni ’30 tra Luisa Spagnoli, signora sposatissima, e lo scapolo Giovanni Buitoni che ha fatto entrare nella leggenda il mitico “Bacio” con i suoi cartigli.
Ogni visita guidata ha un suo carattere specifico. Con le scolaresche ci si sofferma di più davanti alle bacheche per parlare degli aspetti ludici del cioccolato e dei prodotti più conosciuti da bambini come gli Smarties, con gli adulti si segue l’evoluzione dei prodotti e della pubblicità (dal Carosello con Gassman e Anna Maria Ferrero ai gingle ritmati di oggi), con gli anziani si ripercorre la storia del packaging (quante mamme e nonne hanno ancora i fili e gli aghi nelle scatole di latta dei biscotti Perugina! ). “Un giorno è venuto in visita Valter Veltroni” racconta Cristina Mencaroni che con Ilaria Alberghi si occupa del Museo ”Quando si è trovato di fronte al Carrarmato ha fatto un sobbalzo. Aveva da poco finito di scrivere un libro sui consumi alimentari degli italiani e si era dimenticato di inserirlo, proprio lui che lo portava tutti i giorni a scuola per merenda. Ha fatto in tempo a correggere le bozze”. E a proposito di aneddoti come dimenticare Renzo Arbore che voleva a tutti i costi il disco con tutte le canzoni composte da Egidio Storace per il programma “I Quattro Moschettieri”, come “Cagnolino pechinese” ed altre. La devozione e l’ammirazione dello showman foggiano per la trasmissione di Angelo Nizza e Riccardo Morbelli, ideata da Aldo Spagnoli ("primo caso di sponsorizzazione in Italia") per lanciare i prodotti, è tale che, intervistato su “Alto Gradimento”, ha affermato che la sua è stata la seconda trasmissione più rivoluzionaria della storia della radio perchè la prima è stata sicuramente quella offerta dalla Buitoni-Perugina.
Mantenere un museo all’interno di una fabbrica di notevole grandezza è sempre una bella sfida. “Serve un presidio di area” aggiunge Ilaria “perchè non è banale garantire ogni giorno le porte aperte allo stabilimento di San Sisto, vista l’alta e continua affluenza di visitatori nel rispetto di tutte le norme igieniche e di sicurezza. Ma non ci pesa perchè è la nostra passione. Abbiamo preferito sviluppare questo originale sistema di comunicazione, composto da Museo e Scuola del Cioccolato, a ridosso della fabbrica per unire sotto il comune denominatore del cioccolato la nostra storia e il nostro presente. Unirli all’azienda vuol dire raccontare in maniera esaustiva la storia del gusto”.
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