RACCONTAMI L'UMBRIA
4 Aprile 2018
Scoprire Città di Castello, il borgo dell'arte perenne
Articolo partecipante a Raccontami l'Umbria 2019 - sezione Turismo Ambiente e Cultura
di Emanuela De Santis
Ricca di chiese e palazzi, memoria del suo passato, la località "di frontiera" dell'Umbria sembra aver ereditato il mecenatismo dei suoi signori d'un tempo.
Le botteghe di artisti e di artigiani non si contano, come le iniziative a tema.
Il confine toscano è ad un passo, il Tevere la lambisce con un tocco di languore romano, la Romagna si percepisce nel dialetto e nelle tradizioni della gastronomia: Città di Castello, l’antica Tifernum romana, è davvero una città di frontiera. i Vitelli, nel ’500, ne furono la dinastia più importante. Mecenati di provincia, hanno lasciato in eredità cinque magnifici edifici, dal palazzo a Sant’Egidio, col giardino all’italiana disegnato tra grottesche a stalattiti e nicchie con statue in cotto, al palazzo alla Cannoniera, che esibisce una vasariana facciata a graffito ed è oggi sede della pinacoteca comunale, con opere di Raffaello, Luca Signorelli, i Della Robbia e tutto il fior fiore dell’arte rinascimentale umbro-toscana. L’altra eredità storico-artistica di Città di Castello è quella della secolare appartenza allo Stato Pontificio: ben 55 le chiese cittadine, a cominciare dalle trecentesche San Francesco e San Domenico. L’appuntamento più prestigioso il Festival delle Nazioni, quello più nuovo l’Only Wine Festival, in cui le migliori 100 cantine italiane “under 40”, selezionate dall’Associazione Sommelier, l’ultimo fine settimana di aprile propongono la propria produzione attraverso degustazioni sia libere che guidate.
Gita sul Tevere
Passeggiando per il centro antico, scendendo lungo corso Cavour e passando davanti al Palazzo dei Priori (firmato Angelo da Orvieto, l’architetto del Palazzo dei Consoli a Gubbio), si arriva a piazza Gabriotti, davanti alla facciata della Cattedrale dei Santi Florido e Amanzio. Nell’attiguo museo capitolare sono esposte due meraviglie: un paliotto in argento cesellato e il Tesoro di Canoscio, raccolta di ventiquattro oggetti liturgici in argento d’età paleocristiana ritrovati nelle campagne vicine. Pur nel suo mix di stili, di epoche e di secoli - campanile romanico, portale gotico, scalinata settecentesca, interno quattrocentesco - la Cattedrale conserva un nitore primitivo, medievale. Lo stesso che si avverte nelle pitture nell’Oratorio di San Crescentino a Morra, splendida chiesetta che sporge dalle colline sopra Canoscio, quindici chilometri a sud, lungo la strada per Petroia. Qui, tra flagellazioni, crocifissioni e deposizioni del Signorelli, emergono dall’intonaco macchie coloratissime di pittura, con fantasmi di cavalieri e confraternite d’incappucciati che fanno pensare al Bergman del “Settimo sigillo”. Un’altra immancabile visita extracittadina è il cortiletto, di grazia tutta fiorentina, di palazzo Bufalini, forte medievale e successivamente villa rinascimentale, che si raggiunge in qualche minuto imboccando da Castello la E45 in direzione nord, verso Cesena. In città due importanti spazi espositivi celebrano invece Alberto Burri, ultimo grande artista tifernate. Una prima collezione è ospitata nel quattrocentesco Palazzo Albizzini, la seconda nei capannoni degli ex-seccatoi, dove mezzo secolo fa maturavano le foglie di tabacco tropicale e, all’indomani dell’alluvione di Firenze, furono messi ad asciugare i preziosi volumi della Biblioteca Nazionale. Oggi raccolgono gli arabeschi colorati di Burri: 128 enormi tele-collages appese sotto le volte da cattedrale industriale.
Chiostro di San Domenico
Città di Castello resta una cittadina legata all’arte, all’artigianato, alla piccola industria, alle forme povere della cultura popolare. La moda del finto antiquariato ha reso celebri gli artigiani locali, veri chirurghi plastici dell’ebanisteria, capaci con fiamma ossidrica, trapano e scalpello di aggiungere secoli ai mobili assemblati da vecchi infissi e ante di credenze. Nelle botteghe del centro storico, ebanisti e restauratori inventano pezzi d’arredamento montati dal legno antico di porte, finestre e travi di case di campagna, da assi secolari scovate tra le macerie dei terremoti o da vecchi mobili da rottamare. Creano e assemblano, spesso su commissione dell’acquirente, mobili e arredi né falsi né in stile, più antichi che moderni, in cui il legno è d’epoca ma tutto, persino le finiture - chiodi, chiavi, cardini, serrature - è rifatto in stile. Il “finto antico” è l’attività più florida dell’artigianato tifernate; l’industria tessile e tipografica, tradizionalmente diffuse nel territorio, sono oggi minoritarie. Ma nel laboratorio della Tela Umbra in via Sant’Antonio, tuttora si comprano o si ammirano tessuti di lino finissimo fabbricati al telaio a mano e lavorati a bisso “spolinato” o nel classico quadruccio umbro. Il laboratorio è in gestione diretta delle tessitrici, come volle la fondatrice Alice Franchetti, suffragetta e moglie americana del barone Franchetti, arrivata d’oltreoceano a smuovere l’aria della città con una ventata di nascente femminismo d’importazione. Grifani-Donati, in corso Cavour, è invece la più antica officina tipografica del territorio. Gianni Ottaviani continua l’esperienza di famiglia sbuffando sull’acciaio dei macchinari, armeggiando sui bracci del torchio, svelando a visitatori e curiosi le formule d’inchiostri e i segreti della composizione manuale tra una pedalata di platina Mailander e un giro di pianocilindrica Werk Augsburg 1910. La sua tipografia è l’ennesimo, inconsueto museo attivo di Città di Castello. Come quello all’aperto di Isabella Dalla Ragione, che prosegue il lavoro iniziato dal padre Livio, uno 007 di semi e radici scomparse. Nel podere di San Lorenzo a Lerchi, appena fuori Castello, Isabella ha fondato un Museo d’Archeologia Arborea in cui pianta, cura e dà “in adozione” alberi di susina verdacchia, di mela rosona, di ciliegia limoncina, di “pera di Santa Veronica”, di “fico degli Zoccolanti”: tutte specie in via di estinzione botanica.
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