RACCONTAMI L'UMBRIA
La grande festa Italiana dei miei sogni
Articolo partecipante Raccontami l'Umbria 2013-sezione stampa
di Helene Cooper
TESTATA: The New York Times
DATA DI PUBBLICAZIONE: 20 marzo 2012
Da quella mia prima cena organizzata quando vivevo in un minuscolo appartamento a Londra, affannandomi a mettere insieme un menu a base di gamberi alla Creola e sincerandomi, al contempo, di avere abbastanza forchette per tutti e otto gli ospiti che avevo invitato a stringersi attorno al mio modesto desco comprato all’Ikea, poche cose mi hanno resa più felice di starmene seduta a tavola con un gruppo di amici attentamente selezionati.
La cena dei miei sogni - colpa di Peter Mayle - l’ho sempre immaginata come una di quelle sontuose feste campestri piene di sapori che ti esplodono in bocca e personaggi appena usciti da “Un Anno in Provenza”. Questa fantasia, corroborata dal vino bianco che stavo sorseggiando durante una lezione di cucina tenuta da Salvatore Denaro, uno dei migliori chef d’Umbria, è la sola cosa che possa spiegare le parole che mi sono lasciata sfuggire un martedì dello scorso Luglio.
“Hey, Salvatore”, ho detto, “vuoi venire alla festa che organizziamo venerdì?”
Con questo invito, la cena che organizzo tutti gli anni con gli amici all’Agriturismo La Montagnola, la villa con frantoio annesso immersa fra le colline Umbre che affittiamo ogni Luglio, si è improvvisamente trasformata da informale ritrovo in scenario bucolico a follia in grado di esasperare anche i nervi più saldi. Con l’aggiunta del Sig. Denaro, ci saremmo trovati a dover mettere in scena una cena a sedere per 24 ospiti, fra cui un importante produttore di vino Italiano e un ex sindaco e cercatore di tartufi part-time proveniente dalla patria Italiana del fungo.
Per non parlare poi dell’ereditiera Medici-Borgia la cui famiglia è proprietaria della tenuta di oltre 500 ettari che affittiamo ogni anno: Vittoria Iraci Borgia, che sarebbe giunta accompagnata dalla sua factotum e chef Carmela nonché dal marito e dal figlio di quest’ultima, rispettivamente Romolo e Francesco. E da Aurora, la fidanzata di Francesco.
Il fattore paura ha iniziato a prendere il sopravvento sulle mie ambizioni culinarie. Altri desiderano avere fama e fortuna; io mi sarei accontentata della cena perfetta.
Quando vivevo ancora in Liberia, la nostra casa era così distante dal paese che l’unica occasione in cui qualcuno veniva a farci visita era quando i miei genitori organizzavano favolose feste che richiedevano giorni e giorni di preparativi. Mio padre metteva un maiale a cuocere lentamente in una buca scavata nel terreno mentre mia madre, con i suoi enormi occhiali in stile Jackie Kennedy, si aggirava per casa impartendo ordini al personale domestico.
Trasferitami negli Stati Uniti, ho tentato di riprodurre le gesta dei miei, personale domestico escluso. Tuttavia, nel minuscolo giardino sul retro di casa mia ad Alexandria, Virginia, spazio per seppellire un maiale proprio non ce n’è, figuriamoci per imbandire una tavola per 30 ospiti.
Poi è arrivata La Montagnola. Nove anni fa, durante una delle lezioni di cucina che Vittoria e Carmela tengono nel palazzo Seicentesco di famiglia, appena fuori Torgiano, ho scoperto il luogo perfetto dove trascorrere una vacanza a prezzi ragionevoli: Vittoria aveva tre casolari che affittava a settimane, fra cui uno con sei camere da letto, adagiato alla sommità della collina, la Caprareccia, che affittava (e affitta tuttora) a 2.400 Euro – circa 3.180 Dollari al cambio odierno – per l’intera settimana, ossia circa 500 dollari per ciascuna delle grandi camere con letto a una piazza e mezzo.
La villa, che possiede due cucine, due sale da pranzo e una quantità di bicchieri da vino sufficiente anche per tutti noi, sorge alla sommità di una collina coperta di olivi color smeraldo che dalla piscina scendono a cascata fino ai ruderi adagiati nelle vicinanze sul fianco della collina. Tutte le sere, il tramonto è una vera e propria esplosione di colori.
Capisco i lettori che ricordano con una punta di invidia l’articolo che ho scritto sulla villa per la sezione Viaggi di questo giornale tre anni fa. Prima che la gelosia torni a far capolino, tengo a ripetere che non si tratta di una vacanza dai prezzi esorbitanti. Nessuno nel nostro gruppo di 9-14 persone gestisce fondi speculativi; siamo persone delle più disparate estrazioni sociali: c’è chi è single, chi è sposato, chi ha figli, tutti venuti a goderci la nostra settimana di Luglio in questo luogo magico.
Alla fine della settimana, organizziamo sempre una festa per celebrare la buona sorte che ha voluto che andassimo a quella prima lezione di cucina. E visto che il numero degli invitati alle nostre cene si allargava ogni anno di più fino a includere ormai qualsiasi Tommaso, Riccardo e Aroldo incontrassimo, Vittoria si è prestata coraggiosamente ad aiutarci. Quando mi ha sentito invitare Salvatore, si è messa a ridere. “Ti mando Romolo a portarti i tavoli con il camion”, mi ha detto. “Vuoi che faccia qualcosa?”
Beh, non sono la figlia di mia madre per caso; so come delegare. E ho affrontato il panico che mi stava assalendo pianificando tutto nel minimo dettaglio.
Ci eravamo già fatte un’idea generale di quel che prevedevamo di servire e ci eravamo suddivise i compiti in cucina. Prevedendo che questa cena avrebbe segnato una svolta, mi ero assegnata la porchetta che prevedevo di acquistare con mossa astuta da uno degli svariati porchettai ambulanti che popolano i mercati tutta l’Umbria. Questo mi avrebbe permesso di prendere in mano l’organizzazione, dare ordini a destra e a manca e, più in generale, rompere le scatole a pressoché chiunque si trovasse nei paraggi.
Siamo ferventi sostenitrici del motto “paese che vai, usanza che trovi” e, quindi, protagonista del menu sarebbe stata perlopiù la cucina Italiana. Il tavolo degli antipasti, piazzato vicino alla piscina per l’aperitivo, sarebbe stato imbandito con soppressata, ciabatta “bruschettata”, strofinata con aglio e bagnata con qualche goccia del bell’olio verde di produzione propria de La Montagnola e con gli arancini di risotto con ripieno di mozzarella e pecorino preparati dalla mia amica Roe D’Angelo.
L’aperitivo – Campari rosso e prosecco – sarebbe stato apparecchiato su di un tavolo piazzato sul lato est della villa, affacciato su cespugli di rosmarino talmente rigogliosi da sembrare siepi.
Il resto della cena sarebbe stato semplice, rustico e talmente a chilometro zero che i rami dei limoni avrebbero ancora frusciato quando ci saremmo seduti per l’insalata. I primi sarebbero stati affidati a Roe: spaghetti con pancetta (l’Umbria è la terra del maiale), menta colta sulla nostra collina, scalogno e pomodori acquistati al mercato. La mia porchetta, farcita con pinoli, uva passa, finocchio e aglio, sarebbe stata, mi auguravo, il piatto forte fra i secondi.
La porchetta può essere preparata in diversi modi; gli Italiani arrostiscono il maiale intero. Per preparare la porchetta a casa, si arrotola una pancetta di maiale su un lombo di maiale e si farcisce il tutto con un ripieno a piacere – cipolle e mele saltate, rosmarino e salvia, pepe nero. Quindi si lega il rotolo, lo si strofina con olio di oliva e lo si fa rosolare lentamente adagiato su di un letto di ortaggi da radice in bagno di vino rosso.
A fare da contorno alla nostra porchetta, poi, ci sarebbero stati i cannellini preparati da Beth, le deliziose lenticchie di Vittoria, condite con cipolla e olio di oliva, e un’insalata di limone e rucola (la collina è veramente generosa) preparata da Roe. Prima che qualcuno brontoli riguardo alla suddivisione del lavoro vorrei dire che Roe è davvero brava in cucina, e noi non siamo certo persone che guardano in bocca al caval donato.
Del dessert si sarebbe occupata Marlene, che avrebbe preparato una Key lime pie (torta Americana a base di succo di lime, n.d.t.) con panna montata. Marlene aveva portato con sé dagli Stati Uniti del succo di lime delle Keys e delle briciole di cracker Graham. Avevamo troppo paura di avventurarci nella preparazione di un dessert Italiano visto che Carmela fa un tiramisù talmente buono che non avremmo mai potuto competere. Quindi, meglio distrarre i convitati con un dessert Americano a sorpresa.
Ai “ragazzi” avremmo invece lasciato l’incombenza del vino, ossia la missione di andare in paese e fare incetta dei corposi vini locali di cui l’Umbria è così ben fornita. Il nostro preferito è il Sagrantino di Montefalco, uno delle delizie della “buona notte” di cui ringraziamo l’Italia. I “ragazzi” non si avvicinerebbero neanche a pagarli agli Uffizi di Firenze o al museo archeologico di Perugia ma, in qualche modo, riescono sempre a fare la loro annuale visita al museo del vino di Torgiano dove trascorrono interi pomeriggi da cui rincasano un po’ traballanti. Per loro fortuna, Marco Caprai, rampollo della dinastia Caprai, famiglia di noti produttori di Sagrantino, era fra gli invitati alla cena ed era solito presentarsi con un paio di magnum al seguito.
La mattina della nostra festa, come tutte le mattine di mezz’estate in Umbria, è arrivata annunciata da un caldo raggio di sole che filtrava attraverso la finestra della camera da letto, che sono solita lasciare aperta. Subito, mi sono gettata a capofitto in una giornata che sarebbe stata densa di preparativi: primo compito, andare con Vittoria al mercato di Foligno dove mi sarei potuta godere lo sbigottimento del macellaio nell’udire di quanta porchetta avevo bisogno (sei chilogrammi); quindi, tappa al supermercato in cerca del latte condensato per la torta di Marlene; supermercato dove, dopo aver fatto retro-front, siamo tornate quando Vittoria mi chiesto “quella cosa all’avocado che hai preparato tre anni fa”.
A quella richiesta l’ho fulminata con lo sguardo gridandole: “Ma come, sto organizzando un baccanale Felliniano e tu mi chiedi di fare il guacamole?” Ma, siamo comunque tornate al supermercato dove, mi corre l’obbligo di segnalare, non hanno peperoncini jalapeños.
Gli ospiti sono iniziati ad arrivare verso le 19:30, in solenne processione, tutti con doni alla mano. Il tavolo che avevamo allestito si allungava oltre metà piscina; le gambe delle sedie di ferro battuto affondavano nel manto erboso su cui poggiavano. Nei bicchieri di Campari tintinnavano i cubetti di ghiaccio che avevo passato l’intera settimana ad ammassare (il mio cognato Serbo mi aveva insegnato a mettere una ciotola di plastica in freezer e svuotarvi, mano a mano, le vaschette di cubetti per poi riempirle di nuovo). Dal lettore CD, Andrea Bocelli ci deliziava con la sua “Con Te Partirò”.
Gli invitati, però, non stavano conversando fra di loro; se ne stavano in piedi esitanti, sparpagliati in gruppi. Con i nervi a fior di pelle, ho trascinato Bruno, il cercatore di tartufi part-time, da Marco, il produttore di vino. “Ma voi due non vi conoscete?”, ho chiesto a voce alta. Beth ha capito subito le mie intenzioni ed è scivolata verso Carmela e suo marito che se ne stavano in piedi da soli. “Carmela, parla a Salvatore della tua lasagna con la salsiccia”, ha detto rivolgendosi all’esuberante chef. Lentamente, la cornice, il cibo e il prosecco hanno iniziato a fare il loro effetto.
Arrivata mezzanotte, ci trovavamo ancora seduti a tavola, la pancia piena e l’animo rinfrancato. Salvatore parlava con Beth, gesticolando mentre si districava fra Inglese e Italiano. Lo chef aveva reso speciale la serata di Marlene definendo la sua torta “deliziosa”, baciandosi le dita. Vittoria flirtava con due gemelli assurdamente belli sorseggiando Sagrantino Passito, il nostro vino da dessert preferito, mentre Bruno, che mi aveva portato 16 tartufi neri di Acqualagna come dono per la “padrona di casa”, mi stava spiegando pazientemente quanto fosse semplice preparare gli spaghetti al tartufo.
La mia cena era andata ben oltre le mie più ardite fantasie. Gli ospiti avevano letteralmente divorato gli spaghetti di Roe, spazzato via la porchetta e i contorni e allegramente “fatto fuori” due cassette di vino. Quando, verso l’1:30, l’ultimo ospite ha lasciato la villa, sono andata verso il tavolo degli antipasti per sparecchiarlo. C’era ancora un po’ di salame, ma la ciabatta con l’olio era sparita.
E sapete cos’altro era sparito? Il guacamole.
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