RACCONTAMI L'UMBRIA

Fatti amare Italia

Articolo partecipante per la sezione Turismo, Ambiente e Cultura - Raccontami l'Umbria 2016

di Davide Giuliani, Maria Giovanna La Porta, Lorenza Sbroma

TESTATA: Quattro Colonne SGRT Notizie

DATA DI PUBBLICAZIONE: 15 Marzo 2016

 

Promuovere la cultura rispettando la natura, l’arte e la storia d’Italia per preservare il patrimonio in cui affondano le nostre radici e la nostra identità. È questa la missione del FAI (Fondo Ambiente Italiano), associazione senza scopo di lucro che dal 1975 salva, restaura e apre al pubblico decine di siti artistici e naturali presenti sul territorio italiano.

Da diversi anni il FAI organizza alcune campagne rispettando la propria missione. Come le Giornate FAI di primavera, manifestazioni che dal 1992 offrono la possibilità di visitare beni italiani di interesse culturale e naturalistico normalmente chiusi al pubblico. Quest’anno, il 19 e 20 marzo, l’associazione ha riproposto questo evento. Chiese, ville, borghi, palazzi, aree archeologiche, castelli, giardini, archivi storici: sono oltre 900 i luoghi aperti con visite a contributo libero in tutta Italia; di questi 46 solo in Umbria.

«Il bilancio delle Giornate di primavera di quest’anno è certamente positivo, grazie anche al caldo e ai tanti visitatori» ha affermato l’avvocato Ines Coaccioli, presidente della delegazione Umbria del FAI. «I dati sono ancora parziali, ma per ora l’Umbria ha avuto 23.550 visitatori; un vero successo se confrontato ai 19.000 dell’anno scorso. I luoghi più visti? Villa Colle del Cardinale con 5.500 ingressi registrati; Villa Morandi di Giuseppe a Terni, vicino alla cascata delle Marmore, con 2.000 visitatori; Palazzo Pongelli a Todi con 3.000 visitatori».

A sorprendere è stata soprattutto la partecipazione dei giovani agli eventi, grazie anche alla costante collaborazione del FAI con scuole e università. Un ragazzo di un liceo di Orvieto ha composto una melodia al pianoforte dedicata alle giornate di primavera. Una sensibilità per l’ambiente e i beni culturali italiani che la presidente della delegazione umbra vede positivamente: «Il successo di questi eventi è dato dal fatto che le persone possono finalmente entrare in luoghi che durante l’anno sono sempre chiusi. Posti che raccontano la nostra storia, scrigni di bellezze. Il pubblico è stato magnifico: è stata una festa per tutti, perché tutti potevano apprezzare e scoprire dei beni della collettività».

Oggi come allora, spiegano i volontari, la coltivazione del bosco ceduo si ha solo nella zona di diretta proprietà del FAI: «Abbiamo ricominciato la ciclicità dei tagli, così da avere un bosco abbastanza giovane, ma soprattutto molto curato. Allo stesso modo abbiamo oltre settecento piante di ulivo, grazie alle quali produciamo l’olio di San Francesco».

Il Bosco, però, non si limita solo ai carpini, agli aceri e alle querce roverelle. Arrivati al monastero di Santa Croce, infatti, si scoprono la piccola chiesa originaria del XIII secolo, un mulino e i resti di un ospedale. Da qui, poi, si può intraprendere un secondo percorso a piedi che conduce al “Terzo Paradiso”, l’opera di Land Art firmata da Michelangelo Pistoletto: un’area percorribile di 3.000 metri quadrati con 160 ulivi che formano tre cerchi consecutivi.

A spiegarne il significato è stato più volte lo stesso artista biellese: «Qui si ritrova l’armonia originaria tra uomo e natura, nata nel paradiso terrestre, il primo, e cancellata nel secondo – finto – paradiso fatto da piaceri artificiali, che caratterizza la società attuale». Una chiusura perfetta, quindi, per il messaggio che gli ideatori del Bosco vogliono trasmettere al pubblico.

Fratello bosco

Sessantaquattro ettari, oltre ottocento anni di storia, quattro chilometri di sentieri immersi nel verde; il tutto nel cuore di Assisi. È il Bosco di San Francesco, area che si estende ai piedi della Basilica e che, nelle intenzioni dei responsabili, costituisce «un vero e proprio cammino interiore» con un obiettivo preciso: «Scoprire il messaggio di perfetta armonia tra uomo e creato che il Poverello insegnò al mondo proprio a partire dai colli assisani».

Aperto per la prima volta cinque anni fa, il Bosco venne donato da Intesa San paolo al Fondo Ambiente Italiano nel 2008. E proprio il FAI è stato in prima linea negli interventi di restauro, che proseguono anche oggi: «Finora ci siamo occupati dei punti più importanti», spiega Luca Chiarini, Property manager del sito. «Per ultimare i lavori, però, occorreranno altri quindici anni». Tempi legati da un lato alla vastità dell’area e dall’altro alla tipologia dell’intervento. «Il restauro paesaggistico che stiamo eseguendo – prosegue Chiarini – necessita l’integrazione tra la parte più naturalistica e tutti gli insediamenti umani che nei secoli la hanno modificata, come nel nostro caso è successo con i sentieri».

Il FAI, però, non è l’unico proprietario del parco; il primo tratto infatti, che si estende fino alle antiche mura medievali della città, appartiene ai frati del Sacro Convento. Una divisione che ricalca quella medievale esistita per anni tra i terreni dei francescani e quelli dei benedettini, che proprio a fondovalle avevano il proprio monastero di Santa Croce. «Il rapporto tra i due diversi ordini è importante per comprendere la natura del Bosco», spiega Chiarini. I seguaci di Benedetto, fedeli alla regola ora et labora, coltivavano il terreno e lo sfruttavano per ottenerne legna da vendere; i francescani invece, in quanto ordine mendicante, vivevano di elemosina e non avevano questo approccio produttivo nei confronti della natura. «Essa aveva per loro un aspetto esclusivamente meditativo; permetteva di entrare in rapporto con Dio. Così, se i primi trasformavano il paesaggio con un’attività di taglio e di piantumazione, i secondi si lasciavano alle spalle un ambiente forestale molto vicino alla sua forma originaria e ricco di varietà arboree».

La villa delle delizie

Una collina baciata dal sole che domina la campagna perugina ai piedi del monte Tezio. Qui sorge villa Colle del Cardinale, una delle dimore storiche aperta al pubblico durante le Giornate di primavera organizzate dal FAI.

Sono passati più di 430 anni da quando Fulvio della Corgna, nipote di papa Giulio III, commissionò all’architetto Galeazzo Alessi la costruzione della villa. Voluta in quel posto perché ventilato e quindi ideale per la villeggiatura estiva, lo scopo del cardinale era quello di creare un luogo di delizie, ossia un convivio per intellettuali e mecenati dove la mente potesse trovare riposo e ispirazione.

La direttrice della villa Tiziana Biganti ci racconta che «i lavori terminarono nel 1575. Tuttavia nel 1582 Fulvio morì godendo poco di quella dimora tanto desiderata». La villa così vide susseguirsi altri proprietari: Fulvio, nipote del cardinale che nel 1631 la vendette ai Degli Oddi; nel 1893 fu acquistata da Ferdinando Cesaroni, figlio dello storico giardiniere che, dopo aver fatto fortuna con la costruzione delle ferrovie, tornò a Perugia e volle comprare la villa che gli ricordava l’infanzia. Negli anni Venti fu acquistata dall’avvocato Luigi Parodi il quale trasformò la sua dimora in un luogo di ritrovo per studiosi e uomini di cultura. Al Colle del Cardinale cominciarono a soggiornare intellettuali come Giuseppe Ungaretti e Vincenzo Cardarelli, oltre ad artisti come Amerigo Bartoli. È qui che, dopo la prima guerra mondiale, ebbero l’idea di fondare un giornale letterario che portò alla realizzazione de “La Ronda”. È qui che Bartoli ebbe l’ispirazione per uno dei suoi dipinti più famosi “Gli amici del caffè”: un’opera che ritrae quel gruppo di colti e artisti in un bar di Roma, ma che erano soliti trovarsi alla villa del Cardinale. Per successione la casa divenne poi dei Monaco Di Lapio i quali, non potendo sostenere più i costi di manutenzione, la misero in vendita. Dal 1996 è di proprietà dello Stato e, come dice Tiziana Biganti, «dal dicembre del 2014 è stata inserita tra i musei nazionali».

Dal 1997 i lavori di restauro sono continui, ma i soldi pochi. Ecco perché «il contributo del FAI è indispensabile – spiega la direttrice – se non fosse per i suoi volontari, gestire questo patrimonio sarebbe impensabile».

Un parco di 13 ettari e una costruzione di tre piani di cui si possono visitare solo il piano nobile e la cantina. Durante la prima giornata del FAI è stata riaperta la sala d’onore: sfarzoso salone principale della villa che, sopra la porta d’ingresso, ha un ritratto del cardinale Fulvio della Corgna. «Ci sono voluti sei anni – dice la direttrice – per riportare allo splendore di prima il soffitto della sala la cui unicità è data da un effetto ottico: i cassettoni sembrano scavati, in realtà sono dipinti con maestria ». In quel labirinto di stanze, anche la camera da letto del cardinale e altre sale da ricevimento. Si scende poi nella cantina, dove l’umidità e il passare del tempo hanno rovinato le pareti. Pareti a parte, la cucina è intatta: un tavolone al centro della stanza e al muro ancora le piastrelle con fiorellini azzurri.

“Il futuro ha un cuore antico” diceva Carlo Levi e chi meglio delle nuove generazioni può avere a cuore il patrimonio storico-culturale.

Maria Elena Santagati è laureata in Economia del turismo e, tornata in Italia dopo un dottorato di ricerca in Francia, nel 2013 ha fondato FAI Giovani. «Quando vivi all’estero – racconta – quello che hai lasciato a casa lo apprezzi ancora di più. L’Umbria ha delle ricchezze che non tutti i suoi abitanti conoscono». L’obiettivo è quello di arrivare ad una maggiore consapevolezza di quello che rischiamo di perdere se non si fa qualcosa per salvarlo.  

Il Seicento in pieno centro

Situato in un angolo di Piazza Cavallotti e oscurato dall’imponenza del Palazzo Vescovile di Perugia, Palazzo Baldeschi potrebbe apparire come un edifi cio qualunque. Ma ciò che questo grigio edifi cio storico nasconde, va ben oltre l’immaginazione di chiunque.

Affreschi seicenteschi, lampadari di vetro di Murano, arredi di pregio perfettamente conservati e una quadreria che farebbe invidia a qualsiasi collezionista d’arte. Visitare il primo piano del Palazzo è come tornare indietro nel tempo per poi ripercorrere la storia di alcune delle più ricche famiglie perugine.

La camera da letto, con una vista che affaccia sul ponte dell’acquedotto, conserva ancora un letto a baldacchino. Le porte nascoste e i passaggi segreti ci portano negli anni delle lotte fratricide e delle insurrezioni popolari, in cui tutte le case nobiliari avevano una via di fuga conosciuta solo da pochi membri della famiglia. La porta a muro più avvincente del palazzo è quella che si trova nella piccola cappella della famiglia: collegava la casa ad una torre che portava a una stradina secondaria della città. Ottima per far perdere in poco tempo le proprie tracce. Ora la porta è stata murata, ma le tracce di quella strana via di fuga sono ancora ben visibili nelle mura del palazzo.

Le porte di questo piccolo museo, di norma, sono chiuse al pubblico, ma in occasione delle giornate di primavera del FAI, il Palazzo è stato visitato per la prima volta dagli iscritti del Fondo che tutela i beni artistici ed ambientali italiani.

«Avremmo voluto estendere le visite a tutti, ma per accogliere un pubblico più vasto avremmo dovuto togliere le suppellettili e gli oggetti più delicati e sarebbe venuta meno l’essenza e la preziosità di questo appartamento» spiega Daniele Lupattelli, consigliere della fondazione Orintia Carletti Bonucci, che dal 1980 gestisce e si occupa della manutenzione di Palazzo Baldeschi.

Il palazzo porta il nome della famiglia di giureconsulti che nel 1563 commissionò la costruzione dell’edifi cio. Con il passare degli anni però, è stato venduto a diverse casate nobiliari dell’epoca, fi n quando, nel 1832, fu acquistato dalla famiglia Bonucci. Gli industriali e proprietari terrieri perugini ne sono stati proprietari fi no alla morte di Mario, ultimo erede diretto. Fu egli stesso a destinare tutte le sue proprietà e i terreni ad una fondazione culturale intestata alla madre Orintia Carletti. «In moltissimi casi – spiega Lupattelli – le divisioni ereditarie hanno portato a dividere e sparpagliare il patrimonio di molte famiglie nobiliari. In questo caso invece l’appartamento è rimasto com’era una volta: con gli stessi quadri, gli stessi affreschi e gli stessi mobili che c’erano anche più di duecento anni fa».