RACCONTAMI L'UMBRIA

Dal campo di grano al pane d'autore: Granarium fa scuola di filiera corta

Articolo partecipante per la sezione Mestieri, Imprese e Prodotti - Raccontami l'Umbria 2016

di Emanuela De Pinto

TESTATA: Saperefood.it

DATA DI PUBBLICAZIONE: 22 Gennaio 2015

 

A Cantalupo, da Gian Piero e Patrizia Lucarelli il vero Km0: coltivazione, stoccaggio, molitura, panificazione e vendita in un’unica struttura. Così rivive l’antica macina del 1929

Attraverso la finestra di casa, Gian Piero riesce a scorgere i suoi campi. Ne osserva i colori che cambiano con le stagioni. E’ lì che coltiva il grano, da tre generazioni. Le spighe vengono su che è una meraviglia, senza fretta aspettano il sole. Quando sarà pronto per la raccolta, quel grano percorrerà solo poche centinaia di metri, e arriverà alGranarium, dove si rinnoverà l’antico miracolo. Il grano diventa pane, ogni giorno.

Cantalupo, fra Bevagna e Cannara, provincia di Perugia. L’idea di trasformare l’attività di famiglia, tramandata da nonno Giovanni, da semplici coltivatori di cereali in un’azienda che racchiudesse tutte le fasi di trasformazione del grano, fino alla vendita diretta del prodotto, è venuta ai fratelli Gian Piero e Patrizia Lucarelli, nel 2009.

Diversi i viaggi all’estero per trovare e studiare il modello di produzione che avevano in testa, in un’unica struttura l’intera filiera cerealicola. “Perché solo così si può parlare di Km0 e di vera trasparenza”, racconta Gian Piero. E finalmente, a giugno 2012, l’inaugurazione di Granarium.

Dimenticate il modello industriale. Qui tutto è a portata di mano, l’intero processo di lavorazione è davanti ai nostri occhi, distanze azzerate. Si parte dalla coltivazione. A luglio si raccoglie il grano nei campi, che si estendono per un raggio di 3 km tutto intorno all’azienda. Quaranta ettari, 20 coltivati a grano (grani antichi, in particolare quelli bianchi che si prestano meglio alla macinazione a pietra e garantiscono ottima elasticità e alveolatura) e 20 a leguminose (ceci, lenticchie, borlotti). Poi si passa allo stoccaggio. Otto silos in vetroresina che contengono in totale 1.500 quintali di prodotto, 200 l’uno. La vetroresina non crea escursione termica tra notte e giorno, cosìil grano si conserva senza stabilizzanti e antimuffe. “Non maciniamo mai prima di 60 giorni dalla mietitura – spiega Gian Piero – aspettiamo che il grano sia maturo per una panificazione ottimale”.

Entriamo nel laboratorio, aspettandoci farina ovunque come nevicasse. E invece no. Merito di un sistema di aspirazione che filtra le polveri e le rilascia all’esterno. Il grano passa prima nel pulitore combinato per tre cicli, visibile da una finestrella, così che non resti nessun residuo nelle farine. Il terzo ciclo, detto “spazzola grano” elimina la peluria del chicco dove può annidarsi l’aflatossina. Una volta pulito, il grano viene umidificato per migliorare la macinazione, e riposa 15 ore.

Si arriva al momento cruciale: la molitura. Processo affascinante. Al Granarium c’è un’antica macina a pietra naturale, cercata da Gian Piero in lungo e in largo e trovata su Internet in provincia di Pescara. “Me ne sono innamorato. E’ stata costruita nel 1929 per un mulino ad acqua, l’abbiamo restaurata e motorizzata. Ci sono voluti sei mesi per rimetterla in funzione, ma quanta emozione riportarla in vita”. Due box macinano contemporaneamente per sfregamento, all’interno di ognuno due dischi dipietra La Fertè (tipica dei Pirenei, molto rara). Caratteristica che la rende straordinaria: macina a lungo senza scaldare il grano. Solo 80 chili l’ora. Le moderne macine, più veloci, rischiano di ‘snervare’ il grano e bruciarlo. La farina grezza macinata viene aspirata in una macchina composta da 9 setacci, che la divide in crusca, semola e farina tipo 1, che contiene germe di grano e altri elementi nutritivi. Il profumo è intenso come d’estate nei campi.

Si passa alla panificazione: farina, acqua e lievito madre. Anche l’impastatrice segue la regola di casa: nessuna fretta. La filonatura è fatta a mano, la lievitazione dura un’ora e mezzo. “I tempi lenti garantiscono che il pane duri fino a 4 giorni”, dice Gian Piero. Poi i filoni cuociono nel grande forno a legna, a pochi passi dai macchinari. Si usa legno di faggio che dà un buon aroma al prodotto.

Ora il pane è pronto per la vendita, nel negozio a un passo dal forno. E va a ruba, insieme alle altre specialità della casa: torte al formaggio, pizze, focacce, dolci. C’è chi arriva da Città di Castello, da Magione, da Giano dell’Umbria, e chi addirittura da Roma per fare incetta di sacchi di farina.

La vendita diretta è un bel vantaggio, e non solo sotto l’aspetto economico. “I nostri clienti possono venire e guardare come lavoriamo in modo trasparente, scambiamo due chiacchiere, s’instaura un rapporto di fiducia”, spiega Patrizia. Assaggiamo i tozzetti con mandorle e nocciole, dall’impasto compatto e fragrante. E’ anche il burro a fare la differenza: di primissima scelta e in quantità generosa. Delizia che finirà presto sugli scaffali di Eataly. Ma potete trovare i prodotti Granarium anche nei mercati di Campagna Amica Coldiretti, in giro per l’Umbria.

In due anni, produzione e fatturato triplicati. La qualità paga. Perché un buon pranzo comincia sempre da un buon pane. Oggi, come una volta.