RACCONTAMI L'UMBRIA
Brajo Fuso e l’arte nascosta sulla collina di Monte Malbe
Articolo partecipante a Raccontami l'Umbria 2020 - sezione Turismo Ambiente e Cultura
di Federica Magro
L’origine del nome Brajo è da attribuire alla stravaganza di una donna, una madre la cui nascita del figlio coincide con il mese di febbraio. Il nome Brajo altro non è che il troncamento della parola feb-braio e la caduta della lettera i in favore di una j è necessaria per confondere la provenienza geografica, sempre secondo le regole linguistiche della genitrice burlona.
Brajo, che di cognome fa Fuso, nasce a Perugia nel 1899 e visto che la mela non cade mai lontana dall’albero, l’estro della madre non sarà presente solo nel nome ma anche nella persona. Diventerà un artista e trasformerà ogni dono della sua terra in un’opera d’arte.
Il famoso scrittore Anton Cechov era solito asserire: “La medicina è la mia legittima sposa, mentre la letteratura è la mia amante: quando mi stanco di una, passo la notte con l’altra.” La massima del drammaturgo si sposa alla perfezione con la vita di Brajo, un po’ artista, un po’ scienziato pazzo. La specialistica in Odontoiatria, conseguita all’Università di Bologna, lo porterà a inventare nuovi medicinali e la famosa quanto temibile sedia da dentista, munita di tutti gli strumenti volti alla necessità di terrorizzare ogni abitante della terra, piccolo o grande che sia. L’ingegno frutto di Mefistofele colloca Brajo fra l’Eros dell’arte e il Thanatos del dentista, una natura poeticamente ambivalente. Nel 1926 al numero 17 di Corso Vannucci nel cuore del centro storico di Perugia spalanca le porte del suo “gabinetto dentistico” con accanto un laboratorio per lavori in oro, platino e porcellana. Più che di moglie e amante, sembra si tratti di due mogli che non abbandonerà mai, del resto saranno compagne fedeli per tutta vita, fino alla morte avvenuta il 30 dicembre del 1980.
La consorte, quella reale, non astratta, è Bettina Fuso. Pittrice delicata predilige i paesaggi con un occhio di riguardo per i tetti di Perugia. Assieme al marito crearono nel loro appartamento di Palazzo Cesaroni, sede attuale della Regione Umbria, una vera fucina culturale. Da tutta Italia, vengono in visita e anche di frequente, molti intellettuali dell’epoca: Giulio Carlo Argan, Alberto Moravia, Felice Casorati e anche un giovane Renato Guttuso. Il circolo artistico resisterà anche sotto il fascismo e il rifugio rimarrà forte espressione di libero pensiero ed emancipazione individuale.
Brajo Fuso, un Re Mida contemporaneo, trasforma tutto quello che tocca in un’opera d’arte. I suoi lavori sono tanti e hanno bisogno di spazio proprio come lui ha la necessità di trovare solitudine per creare. Scoprirà che quel che cerca è sito sul monte Malbe, poco fuori città. Qua edificherà la sua nuova casa e qua alla sua dipartita nascerà il Fuseum, la casa museo di Brajo Fuso.
Il Fuseum è un luogo fantastico ed è aperto al pubblico ogni domenica, che si tratti di una giornata di sole o di pioggia. Dalle 10 alle 13 è possibile perdersi in un giardino magico e in una galleria altrettanto suggestiva. Varcando il grande cancello giallo si entra nel sistema nervoso dell’artista, gli imponenti alberi paiono una grande orchestra pronta a suonare per l’inizio del viaggio. Cocci di piatti, tazze, vetri rotti, frammenti di ceramica, griglie di fornelli sono ornamenti per lastricare il pavimento che porta direttamente alla città di Smeraldo del Mago di OZ. La guida del parco, una meravigliosa fata restauratrice che viene dai boschi e porta il nome di Tiziana, con ammirazione ci racconta la genesi di ogni cosa. È lei a spostare l’attenzione sulle protesi dentali incastonate nel pavimento e racconta di quando nella Seconda Guerra Mondiale Brajo arruolato come medico sistemava i denti dei soldati. Sostituiva incisivi, canini e premolari malati con tutto ciò che potesse andar bene. Rendeva quelle bocche delle opere pop art a tal punto che qualcuno, privo di tormenti dentali, desiderava lo stesso trattamento. Brajo precursore inconsapevole delle dentature dei rapper di oggi.
Tra il verde della bella Umbria spiccano i rigorosi colori delle sue creazioni: vecchi serbatoi di moto formano suonatori antropomorfi, gesso e lamiere di ferro sono gli animali di un caratteristico zoo, una vecchia carriola diventa un simbolo dell’ormai decaduta civiltà contadina. Un paese delle meraviglie dove non manca niente, piatti che suonano la musica del vento, un teatro che sembra avere sempre in scena attori invisibili e un laghetto dalle forme architettoniche simili a quelle del celebre Antoni Gaudì.
Dall’aria fresca del parco si passa al calore confortante della galleria. Da poco restaurata e allestita dai curatori Andrea Baffoni, Alessandra Migliorati e dal direttore del museo Gianmaria Fontana di Sacculmino, la galleria contiene 117 opere di Brajo. Le ceramiche al suo interno denotano una certa somiglianza con l’arte di Pablo Picasso, i quadri con quella di Jackson Pollock, e nonostante rimandi ad artisti più noti di lui i suoi lavori conservano una speciale singolarità, una forte anima e individualità che emerge già al secondo sguardo. I suoi famosi Elleni costruiti con materiale di scarto, sembrano leggere ad alta voce tutte le storie delle Mille e una notte come a educare l’uomo a una società più umana e meno meccanica. Nascono da rottami e combattono da eroi per salvare l’umanesimo che sta ormai scomparendo.
In occasione dei 120 anni dalla nascita dell’artista questo luogo onirico, dopo un lungo periodo di abbandono, ritorna a far sognare. La Fondazione Sodalizio di San Martino e la Fondazione Ecomuseo Colli del Tezio hanno permesso la riscoperta del posto, che oltre a non aver nulla da invidiare ad altri famosi parchi del Centro Italia ospita giornate del FAI e vari eventi culturali fra cui laboratori per bambini e corsi teatrali. Anche dopo la morte, il centro culturale che al tempo avevano formato Bettina e suo marito resiste alle erosioni del tempo e in linea con l’arte di Brajo dove nulla è superfluo, tutto è necessario, le cose rivivono sotto forme materiali diversi. La sua anima e la bellezza della sua arte hanno donato l’immortalità alle cose, sulle profumate colline del monte Malbe.
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