RACCONTAMI L'UMBRIA
Arnth e i suoi fratelli
di Anissia Becerra
La storia di una famiglia etrusca di 2.300 anni fa rivive nella monumentale tomba della necropoli del Palazzone.
Arnth, figlio di Aule, nipote di Thefri, membro dell’influente famiglia etrusca dei Velimna. Fu lui, in un giorno di un imprecisato anno del III secolo avanti Cristo, che decise di far scavare, nella roccia di un colle che sorveglia il tratto perugino del Tevere, un sepolcro che testimoniasse il potere economico e il prestigio sociale del proprio gruppo famigliare. Arnth Velimnas Aures volle che nella tomba sotterranea fossero collocate le urne cinerarie del padre, del nonno, dei due fratelli, e della figlia Veilia, unica donna della famiglia la cui memoria di vita è consegnata ai posteri dalla sontuosa rappresentazione della sua morte. Delle spose dei tre fratelli, della loro ati (madre) e dell’ati nanca (nonna), non c’è alcuna traccia. Nell’ipogeo perugino volle riposare anche Publius Volumnius, magistrato vissuto a Roma 400 anni più tardi, all’inizio dell’età imperiale. Figlio di un certo Aulo, latinizzazione di Aule, appartenente alla famiglia dei Volummi, latinizzazione di Velimna, Publio era un lontano discendente di Arnth che, nonostante la felice assimilazione alla civitas romana, volle ritornare al mondo delle proprie radici.
«Non sappiamo molto altro della ricca famiglia dei Velimna», spiega Luana Cenciaioli, archeologa della Soprintendenza per i beni archeologici dell’Umbria e direttrice della necropoli del Palazzone, poco lontano dal centro di Perugia, entro cui è situato l’ipogeo dei Volumni. «Non conosciamo neppure la ragione della singolare presenza delle ceneri di Veilia. Tra i numerosi sepolcri di cui è ricco il territorio di Perugia, un tempo importante città della dodecapoli etrusca, alcuni sono solo maschili, altri sono solo femminili, altri di madri e figli o di entrambi gli sposi. Perché nell’Ipogeo dei Volumni vi sia l’urna di una sola donna, raffigurata seduta, in posizione ieratica su un trono, è un piccolo mistero».
Di certo, l’ipogeo è non solo la più celebre tomba di questa necropoli, ma anche una delle più belle tombe ellenistiche di tutta l’Etruria. Quest’anno, per celebrare i 170 anni dalla scoperta, si è svolto un convegno internazionale che ha fatto il punto sulle ultime ricerche e non sono mancate le sorprese. La casa dei morti come la casa dei vivi L’archeologo parigino Vincent Jolivet ha dimostrato che l’Ipogeo dei Volumni riproduce la struttura di una ricca casa etrusca e non di un’abitazione romana, come si è creduto a lungo. Scavata nel terreno, la tomba è accessibile attraverso un ripido dromos (corridoio) ristrutturato a scala nell’Ottocento. Si presenta con un atrio rettangolare il cui soffitto imita un tetto a doppio spiovente e a travature lignee; ai lati opposti dell’atrio si aprono due celle, mentre in fondo, nell’oscurità, una porta permette l’accesso a due alae terminanti in due piccoli ambienti e al tablinum, il cuore della casa antica, occupato da sette urne cinerarie. Le sei etrusche che contengono le ceneri dei Velimna sono di ottima fattura, in travertino, la settima, quella del I secolo dopo Cristo del romano Publius Volumnius, è in marmo.
«Le urne cinerarie dei Velimna», spiega ancora Luana Cenciaioli, «sono in travertino stuccato e originariamente dipinto a vivaci colori, come lo erano le statue dell’antichità greco-romana. Anche il mondo etrusco era molto colorato e dunque distante dalla purezza monocroma con cui è stato idealizzato dai neoclassici». L’uso del travertino è una caratteristica delle necropoli perugine d’età ellenistica: mentre a Chiusi le urne erano prevalentemente di terracotta e a Volterra in alabastro, nella Perusia etrusca esistevano diverse botteghe specializzate nella lavorazione del travertino per produzioni destinate al mercato funerario. L’urna di Arnth è ritenuta la più bella per fattura; il coperchio, secondo un’iconografia diffusa, raffigura il defunto in posizione semisdraiata sulla kline, il letto da banchetto, mentre sulla fronte dell’urna due demoni alati, i Lase, sorvegliano la porta dell’Ade di cui si scorgono ancora le tracce a colori cupi. «La necropoli cui appartiene la tomba dei Volumni», prosegue la direttrice, «è stata fatta scavare da un clan aristocratico che probabilmente controllava il guado sul Tevere.
Sulle pendici del colle, ora parco archeologico, si possono visitare alcuni dei 200 sepolcri databili dal VI al II secolo avanti Cristo. I corredi funerari hanno restituito anfore ioniche, kylikes attiche e ceramiche orientali che attestano l’esistenza di ricchi scambi commerciali». Gran parte delle urne e del materiale di corredo, tra cui la splendida kelebe del pittore di Hesione, è visibile nell’Antiquarium del Palazzone in cui vengono allestite anche mostre tematiche su diversi aspetti della vita quotidiana. Così, gli oggetti e le rappresentazioni di morte si trasformano in preziose fonti per la conoscenza della vita e della cultura artistica del popolo etrusco.