RACCONTAMI L'UMBRIA
A cavallo per l'Umbria sconosciuta
Articolo partecipante a Raccontami l'Umbria 2018 - sezione Turismo, Ambiente e Cultura
di Marina Cioccoloni
Umbria, cuore verde d’Italia. Lo slogan che campeggia su numerose brochure turistiche presenta una regione nota e ben conosciuta. Eppure fuori dagli itinerari battuti, dalle gite mordi e fuggi con rientro in giornata, esiste anche un’altra Umbria
Un’Umbria che non appare mai, con frazioni di una manciata di case che celano gioielli artistici sconosciuti, vallate dove il silenzio è interrotto solo dal gorgogliare di un ruscello o dal gracchiare di una rana, antichi borghi fortificati dove al mattino ci si sveglia con il profumo del pane appena sfornato, eremi arroccati sui fianchi di montagne e collegati da scale dove i turisti frettolosi non salgono. Quest’Umbria nascosta l’abbiamo percorsa per quattro giorni a cavallo, in un itinerario insolito che dal Club Ippico Malvarina di Assisi ci ha portato a Castelluccio. E qui ve la raccontiamo. E’ tra le chiome argentee della strada degli olivi di Spello che si snoda il primo tratto del percorso, attraverso un paesaggio che sa di moraiolo, la cultivar autoctona, forte abbastanza per resistere al freddo e regalare all’olio quel sapore intenso e inconfondibile. Superata la cittadina nota internazionalmente per le sue infiorate, si prosegue verso la Valle del Chiona e, raggiunta la Flaminia Vecchia, si arriva a Vescia, piccola frazione sulla riva sinistra del fiume Menotre. Dopo una sosta ristoratrice eccoci di nuovo in sella verso Pale. Borgo di quell’Umbria minore che minore non è, lungo la Valle del Menotre, Pale è uno scrigno di meraviglie, a cominciare dalle Grotte dell’Abbadessa, patrimonio naturalistico conosciuto fin dall’antichità e oggi visitabile con guide speleologiche specializzate.
Ma non è finita qui. Ci sono da percorrere i sentieri delle cascate del fiume Menotre, passeggiare tra le vecchie cartiere, fiorenti fino a pochi decenni fa grazie alla ricchezza di acque del territorio. E’ stato proprio in una cartiera di Pale che fu prodotta la carta utilizzata per stampare la prima copia della Divina Commedia. E poi c’è l’arrampicata sulla falesia per i più sportivi (Pale è la seconda palestra di roccia in Italia), e la salita fino all’Eremo di S. Maria Giacobbe, risalente al 1200. Un eremo terapeutico, come tanti altri che punteggiano la montagna folignate, santuari dove si andava, e si va ancora, a chiedere aiuto nella malattia. I gradini in pietra scolpiti sul costone della montagna vengono percorsi da fedeli fiduciosi che affidano le loro speranze di guarigione a Maria Iacobi, la madre di Giacomo il minore, il cui culto qui si allaccia ad una credenza popolare che la vuole eremita sul Sasso di Pale. Il percorso è particolarmente animato il 21 maggio, giorno della sua festa, e per l’Ascensione, quando da Pale partono le processioni fino all’Eremo, che a Natale ospita una grande stella cometa e a Pasqua viene animato da una Via Crucis.
Arrivati fino in cima si avrà una spettacolare visione sulla Vallata del Menotre e le cascate, ma la sorpresa è all’interno del piccolo eremo, scavato in una cavità della montagna e abitato fino agli anni ’70 del secolo scorso da un eremita. Varcato l’ingresso si scoprirà un gioiello artistico unico, tipico della devozione attribuita a Maria Giacobbe, rappresentata con il vaso di unguenti con cui profumò il corpo di Cristo dopo la deposizione. Interessanti anche gli altri affreschi, tra cui spicca il Cristo pantocrator dell’abside, la nascita di Gesù posto in una culla a forma di calice e altre scene sacre. C’è perfino un affresco riproducente S. Agata che tiene in un calice una delle sue mammelle (la santa fu martirizzata a Catania). Non manca nemmeno il lato umano della Madonna che allatta al seno il figlio. Interessante anche la visita degli altri ambienti dell’eremo, la pozza dove veniva raccolta l’acqua, la cucina, la celletta dove chi saliva fin qui viveva in completa solitudine e la saletta degli ex-voto tangibile testimonianza della grande devozione popolare per il piccolo luogo sacro.
Si giunge quindi in località Acqua Santo Stefano, a Borgo La Torre, una torre del 1100 innalzata ai tempi dell’incastellamento e oggi agriturismo. Edificio rigorosamente in pietra, solido a sufficienza per non essere stato toccato dal terremoto dello scorso anno, conserva nella sala da pranzo gli stemmi delle varie casate attraverso cui nel corso dei secoli è passato di mano. Oggi lo gestisce Andrea Marini con la madre, Rita Fanelli Marini, ex insegnante d’arte e collaboratrice della casa editrice SEI di Torino. La sera si passa ad ascoltare Rita che racconta storie e curiosità su questa parte di Umbria sconosciuta, quando Borgo La Torre era luogo di accoglienza e sosta per uomini e animali che si spostavano dall’Umbria alla Toscana per vendere erbe e prodotti farmacologici. Si degustano i vecchi cibi locali accompagnati dal pane che Andrea prepara personalmente mischiando antiche qualità dimenticate e recuperate grazie ad una sua costante ricerca sul territorio. “Il pane senza sale che in Umbria è caratteristico”, ci racconta, “nacque per esigenze economiche: sul sale si pagava una tassa, e i norcini locali, che ne utilizzavano parecchio per conservare le carni di maiale divenute famose in tutto il mondo, preferirono risparmiarlo nella preparazione del pane. E fu inventato il pane sciapo”.
Rifocillati cavalli e cavalieri si prosegue per raggiungere Rasiglia, piccolo gioiello incastonato nella Valle del Menotre e che vive in simbiosi con l’acqua. Ruscelli di acqua purissima ovunque, lavatoi, ponticelli che collegano antiche case in pietra, vecchi opifici e lanifici dismessi. Un paese che nel corso dei secoli ha fatto dell’acqua la sua essenza di vita. Grazie all’abbondanza di questo elemento, fin dal XIII secolo a Rasiglia si cominciarono a costruire mulini ad acqua ed opifici tessili che lo trasformarono in breve tempo in un grosso centro produttivo. Alla fine dell’Ottocento il paese contava otto mulini, due lanifici, quattro banche, un ufficio postale e dava lavoro a numerose persone. Fu con il trasferimento dei lanifici nella più centrale Foligno che negli anni ’50 iniziò il declino e lo spopolamento che hanno trasformato Rasiglia in un borgo incantato dove il rumore dell’acqua è la caratteristica costante che accompagna chi fa sosta da queste parti.
Ma Rasiglia è anche il luogo del Santuario della Madonna delle Grazie, nato verso il 1450, periodo in cui ci si affidava alla Madre di Cristo per chiedere protezione contro i grandi flagelli dilaganti, primo fra tutti la peste. Un santuario di frontiera, polivalente, che testimonia la grande devozione religiosa locale con ben 17 affreschi di Madonne col Bambino, e l’importanza che il santuario aveva come luogo di pacificazione. Vi si trova infatti un interessante affresco che raffigura l’Angelo della Pace che unisce in un abbraccio due contendenti, un dipinto realizzato a suggello di una pacificazione nella quale il ricorso al santuario di Rasiglia aveva testimoniato la sacralità del giuramento. Si raggiungono quindi Sterpare e Sellano, balconi verdi a picco sulla Valle del Vigi, da cui si prosegue per il Lago di Lochness, dove il vecchio mulino ad acqua è stato trasformato in moderno pub e ristorante (bello il torrente che scorre sotto pavimento della sala pranzo) con possibilità di camere e dove si può praticare pesca sportiva anche con l’arco. Proseguendo su strada sterrata si arriva alla base della cascata delle Rote, bel salto d’acqua scavato da migliaia di anni di continuo scorrere, e su un percorso a spirale si sale fino al Castello di Montesanto, antico villaggio fortificato in pietra bianca/rosa dell’Appennino.
Con un bellissimo percorso in discesa si entra in Civitella e con vista sui Sibillini si tocca Mevale, frazione di Visso e minuscola enclave marchigiana in territorio umbro che ha il suo fiore all’occhiello nella Pieve di S. Maria Annunziata, che il 2 luglio di ogni anno festeggia la Festa della Madonna del Monte. Appena discosta dal paese, su un grande prato verde, la Pieve all’interno è tutta affrescata dagli Angelucci, il padre Gaspare e i due figli Camillo e Fabio, una famiglia di pittori e intagliatori di Mevale che durante il ‘500 furono molto attivi in tutta la Valnerina. Interessante all’interno della chiesa una rappresentazione di una giostra equestre che si ritiene sia la più antica rappresentazione della Quintana di Foligno, l’importante rievocazione storica che si svolge ogni anno in giugno con rivincita in settembre (l’edizione 2017 avrà luogo dal 1° al 16). Con un bel sentiero si scende a Cervara, sul Nera, e attraversato il fiume si sale a Castelvecchio e a Saccovescio. Si è in vista dei Casali dell’Acquaro, che si raggiungono a circa 1.000 metri di altezza. La zona è così chiamata per i numerosi ruderi di vecchi casali un tempo utilizzati da pastori e contadini per la coltivazione di queste terre. Inoltratosi il sentiero nella faggeta fino ai 1.400 metri di Croce di Cardosa si cavalca per un paio d’ore nel magnifico costone erboso che regala panorami mozzafiato sui Sibillini. Giunti in Val di Canatra alla Fonte di Canatra, punto di sosta di pastori e greggi che durante la transumanza verso i pascoli della Maremma qui si fermavano a rifocillarsi, dopo la sosta si prosegue tra vallate infinite con viste a 360° e si entra infine in Pianperduto con un grandioso panorama sull’immensa vastità della piana di Castelluccio di Norcia. Il paese ci accoglie, ferito ma fermo nella sua volontà di rinascere. Perché la bellezza vince sempre su tutto.
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