OPINIONI

1 marzo 2016

I conflitti di interesse geo-economici della Nestlé

Le multinazionali, si sa, hanno le loro logiche: sono aziende globali, producono dove conviene, vendono in tutti i paesi,utilizzano i loro marchi secondo la notorietà degli stessi nei singoli mercati, per facilitare la distribuzione, incrementare i volumi di vendita e, in definitiva, massimizzare i profitti.

Tutto lecito, tutto ovvio in un’economia di mercato, ma non sempre coerente con la massima valorizzazione di tutti gli asset  aziendali, perché nelle loro strategie commerciali e distributive ne privilegiano alcuni e ne marginalizzano altri, incidendo pesantemente con le loro scelte sulle potenzialità di valorizzazione e sviluppo di alcuni di essi e dei paesi e dei territori nei quali si trovano i siti produttivi  delle multinazionali stesse.

Il guaio è che tra questi asset non ci sono solo beni materiali come gli stabilimenti e gli impianti, o immateriali come i marchi e i brevetti, ma c’è  anche un asset chiave come le risorse umane, che dovrebbero avere una considerazione prioritaria anche nelle scelte strategiche delle multinazionali.

Scendendo sul  concreto, affrontiamo il tema del futuro di Perugina e dello stabilimento di S.Sisto e delle risorse umane in esso occupate.

Nestlè ha un larghissimo portafoglio Marchi (perché è cresciuta per acquisizioni) e di conseguenza ha una "Brand policy" molto ben studiata e strutturata che prevede Marchi Mondiali e Marchi Nazionali. Perugina fa parte del secondo gruppo  e non è pensabile che questo possa cambiare, visto che è un brand conosciutissimo e apprezzato in Italia, molto meno nel mercato globale.

Accade così che un prodotto eccezionale come i Baci, che ha delle potenzialità non solo in Italia, dove ha un posizionamento storico unico, ma anche in molti altri mercati, la Nestlé lo distribuisca ad esempio in Francia, togliendo però nel packaging (che richiama perfettamente quello originale) il “cognome” Perugina, per “sposarlo” con il  marchio “Lanvin”, molto conosciuto e distribuito in Francia anche nel canale della grande distribuzione commerciale.

Da un lato si tratta di una sinergia utile, perché il prodotto da S.Sisto viene esportato sul mercato francese, aumentando l’utilizzo degli impianti dello stabilimento, dall’altro, però non si approfitta della validità del prodotto leader aziendale  per diffondere il marchio Perugina sui mercati esteri, presupposto indispensabile per poter poi vendere in quei mercati anche altri prodotti realizzati nel sito produttivo di S.Sisto, investendo anche in comunicazione e promozione dello stesso e in ricerca sviluppo per innovare la gamma.

Il business del cioccolato è strategico per Nestlè ( che è il primo produttore mondiale) e lo stabilimento di S.Sisto è il suo più grande nell'Europa continentale. E' anche l'unico dove si produca la pasta di cioccolato (anche se il ramo d’azienda è stato ceduto a terzi) con vantaggi di flessibilità e di costo.

Perché la Nestlè non  si impegna seriamente sullo sviluppo/innovazione di prodotti a base di cioccolato e in adeguati investimenti di marketing per affermarli, come fa, ad esempio, Ferrero?  Perché non ha  insistito negli investimenti sulle tavolette "Nero  Perugina", tanto che poi, non essendo “Nero” un marchio registrato da Nestlè, un follower come Novi, in forte espansione sul mercato delle tavolette, ne ha fatto una delle sue linee di maggiore successo, investendo fortemente anche nel marketing e nella comunicazione?

L'area degli snacks con cioccolato e caratteristiche nutrizionali è certamente una possibile area di innovazione come qualsiasi altro prodotto con caratteristiche nutrizionali e di gusto, ma Nestlé non  sembra interessata a svilupparla, men che meno utilizzando gli impianti del sito di S.Sisto.

Il problema è che nello stesso tempo Nestlè non vuole impegnare risorse in Ricerca e Sviluppo in settori dove non ha interesse strategico, né tecnologie avanzate ( prodotti a base di zucchero, biscotti ), non si vede futuro quindi per prodotti “storici”come la Rossana  e la Cinzia, né  per i biscotti Ore liete, ecc.  e quindi il rischio per lo stabilimento di S. Sisto è di diventare mono-prodotto: la fabbrica del Bacio!

Sarebbe una scelta suicida, che porterebbe ad un’ ulteriore diminuzione dell’occupazione e dell’utilizzo della enorme capacità produttiva del sito, ma accentuerebbe anche l’ulteriore ridimensionamento del brand “Perugina”anche nel mercato domestico.

Specularmente Nestlé, ovviamente consapevole del valore del brand Perugina in Italia, lo utilizza per altri prodotti del suo vastissimo portafoglio sia di prodotti Made in Italy (ma non Made in  S.Sisto), come i gelati a marchio Perugina. O ancora, come accade per le Nuvole, estendendo l’uso del brand Perugina a prodotti che nulla hanno a che vedere con quelli storici del marchio.

Nestlé importa e distribuisce in Italia una mousse, le Nuvole, prodotto a base di latte (52% degli ingredienti, contro il 20% della salsa di cioccolato), fabbricato in Francia da Lactalis, il più grande Gruppo lattiero-caseario del mondo, con oltre 60.000 dipendenti (in  Italia ha acquisito tra gli altri Galbani, Invernizzi, Vallelata). Addirittura in questo caso Nestlé acquista da un'altra multinazionale dei prodotti lattieri da commercializzare in Italia, come brand-extention di un marchio cioccolatiero come Perugina!

Ma “che c’azzecca?”, avrebbe detto un noto politico ex-magistrato, questo abbinamento?

Il prof. Philip Kotler nei suoi libri  ha sempre messo in guardia i manager del marketing dall’esagerare nelle loro politiche di brand-extention, raccomandando che tra il vissuto del brand e la merceologia del nuovo prodotto inserito in gamma vi fosse coerenza-compatibilità. Negli anni ’90, in un seminario a Milano citò come cattivo esempio di brand-extention la multinazionale delle penne a sfera Bic, che lanciò un profumo economico e tascabile“Eau de Bic”. Fu un grande flop: l’immagine di Bic nulla aveva a che fare con il mondo dei profumi!

E, purtroppo, con queste politiche, I conti per Nestlé forse tornano, ma per Perugina e per S.Sisto, no!

 



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