MARCHI & BREVETTI
31 dicembre 2013
Per la tutela penale contro la contraffazione è necessaria l’avvenuta registrazione del Marchio
di Giuseppe Caforio
Giungono novità importanti in tema di tutela del marchio. Negli ultimi anni contravvenendo ad una vecchia prassi, sempre più si ricorre al giudizio penale per ottenere tutela nei confronti dei contraffattori del marchio. Ma occorre stare attenti in quanto la giurisprudenza è intervenuta ponendo dei limiti importanti a questa tendenza. La Corte di Cassazione ha recentemente affermato, che l’ avvenuta registrazione del marchio o del segno distintivo rappresenta una condizione imprescindibile affinché venga assicurata la “tutela penale dei marchi o degli altri segni distintivi”. Infatti, la Cassazione ha rilevato che, si è “inteso ratificare la giurisprudenza che richiedeva, per la tutela penale, l’avvenuta registrazione del marchio o del segno, non bastando la semplice domanda” posto che si può conoscere “solo un titolo già rilasciato mentre la semplice richiesta dello stesso non dà luogo di per sé alla garanzia dell’esito positivo della avviata procedura amministrativa”. Del resto, pur a fronte di un diverso filone interpretativo secondo il quale, al contrario, da un lato, è “sufficiente la presentazione della domanda di registrazione o brevetto a far scattare la protezione penale del marchio, perché già da tale momento si rende formalmente conoscibile il modello e possibile la sua illecita riproduzione”, dall’altro lato, questa “forma di tutela anticipata del segno distintivo sussiste anche dopo l’entrata in vigore della nuova normativa in materia di marchi introdotta dalla l. n. 99 del 2009, la cui ratio è quella di garantire una risposta repressiva più efficace al fenomeno della contraffazione anche con l’esplicita osservanza della normativa comunitaria”, è preferibile, il primo percorso ermeneutico. Infatti, la riforma su emarginata, nel condizionare, come già rilevato in precedenza, la punibilità degli autori dei delitti di cui all’art. 473 e 474 c.p., all’osservanza delle “norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale”, richiede che il procedimento, volto ad ottenere la registrazione di marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali, si sia concluso. Orbene, posto che detto procedimento è assai articolato e complesso, non è detto che la domanda proposta venga necessariamente accolta. In effetti, come è noto, il Codice della proprietà industriale (di seguito indicato con la dicitura C.p.i.), introdotto con il decreto legislativo, 10/02/05, n. 30, prevede una serie di limitazioni per la registrazioni dei marchi, segni e prodotti industriali. A titolo meramente esemplificativo, si riportano le seguenti norme giuridiche: 1) l’art. 9 C.p.i. secondo cui non possano “costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni costituiti esclusivamente dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto, dalla forma del prodotto marchio, anche ai fini della pubblicità, nei limiti della diffusione locale, nonostante la registrazione del marchio stesso. L’uso precedente del segno da parte del richiedente o del suo dante causa non è di ostacolo alla registrazione; b) siano identici o simili a un segno già noto come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio usato nell’attività economica, o altro segno distintivo adottato da altri, se a causa della identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra l’attività d’impresa da questi esercitata ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è registrato possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni. L’uso precedente del segno, quando non importi notorietà di esso, o importi notorietà puramente locale, non toglie la novità. L’uso precedente del segno da parte del richiedente o del suo dante causa non è di ostacolo alla registrazione; c) siano identici ad un marchio già da altri registrato nello Stato o con efficacia nello Stato in seguito a domanda depositata in data anteriore o avente effetto da data anteriore in forza di un diritto di priorità o di una valida rivendicazione di preesistenza per prodotti o servizi identici; d) siano identici o simili ad un marchio gia’ da altri registrato nello Stato o con efficacia nello Stato, in seguito a domanda depositata in data anteriore o avente effetto da data anteriore in forza di un diritto di priorità o di una valida rivendicazione di preesistenza per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e dell’identità’ o affinità fra i prodotti o i servizi possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni; e) siano identici o simili ad un marchio gia’ da altri registrato nello Stato o con efficacia nello Stato, in seguito a domanda depositata in data anteriore o avente effetto da data anteriore in forza di un diritto di priorità o di una valida rivendicazione di preesistenza per prodotti o servizi anche non affini, quando il marchio anteriore goda nella Comunità, se comunitario, o nello Stato, di rinomanza e quando l’uso di quello successivo senza giusto motivo trarrebbe indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore o recherebbe pregiudizio agli stessi; f) siano identici o simili ad un marchio già notoriamente conosciuto ai sensi dell’articolo 6-bis della Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale, per prodotti o servizi anche non affini, quando ricorrono le condizioni di cui alla lettera e)”; 4) l’art. 13, co. I, C.p.i. ai sensi del quale non “possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni privi di carattere distintivo e in particolare: a) quelli che consistono esclusivamente in segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi costanti del commercio; b) quelli costituiti esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono, come i segni che in commercio possono servire a designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio o altre caratteristiche del prodotto o servizio”. 5) l’art. 14 C.p.i. secondo cui non “possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa: a) i segni contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume; b) i segni idonei ad ingannare il pubblico, in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o servizi; c) i segni il cui uso costituirebbe violazione di un altrui diritto di autore, di proprietà industriale o altro diritto esclusivo di terzi”. 6) l’art. 19, co. II, C.p.i. che statuisce come non possa “ottenere una registrazione per marchio di impresa chi abbia fatto la domanda in mala fede”; 7) l’art. 31, co. I, C.p.i. secondo il quale non possono “costituire oggetto di registrazione come disegni e modelli l’aspetto dell’intero prodotto o di una sua parte quale risulta, in particolare, dalle caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della struttura superficiale ovvero dei materiali del prodotto stesso ovvero del suo ornamento, a condizione che siano nuovi ed abbiano carattere individuale”; 8) l’art. 36, co. I, C.p.i. che dispone come non possano “costituire oggetto di registrazione come disegni o modelli quelle caratteristiche dell’aspetto del prodotto che sono determinate unicamente dalla funzione tecnica del prodotto stesso”. Ebbene, viste queste numerose condizioni legali ostative e rilevato che, come da espresso statuizione normativa, una domanda presentata potrebbe essere anche “in mala fede”, è evidente che questa istanza, in quanto tale, non garantisce di per sè la registrazione del prodotto industriale oggetto della richiesta. Inoltre, una volta che i marchi o segni distintivi vengono registrati, è necessario altresì appurare se ricorrano cause estintive tali da ritenerli non più oggetto di tutela. In altri termini, si tratta di verificare se il soggetto titolare di un data marchio (o altro prodotto industriale) registrato sia decaduto da quel diritto. Ad esempio, l’art. 13, co. IV, C.p.i. stabilisce che il “marchio decade se, per il fatto dell’attività o dell’inattività del suo titolare, sia divenuto nel commercio denominazione generica del prodotto o servizio o abbia comunque perduto la sua capacità distintiva”; l’art. 14, co. II, C.p.i., a sua volta, prevede che il marchio d’impresa decade: a) se sia divenuto idoneo ad indurre in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza dei prodotti o servizi, a causa di modo e del contesto in cui viene utilizzato dal titolare o con il suo consenso, per i prodotti o servizi per i quali è registrato; b) se sia divenuto contrario alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume; c) per omissione da parte del titolare dei controlli previsti dalle disposizioni regolamentari sull’uso del marchio collettivo”. Analoga conseguenza ricorre qualora il titolare non ne faccia “uso effettivo” ossia, allorché la durata per la protezione sia scaduta e il titolare non abbia chiesto la proroga ovvero, nei casi in cui, il titolo di privativa non possa essere rinnovato e il periodo di concessione sia scaduto. Inoltre, un’altra valutazione da compiersi, una volta appurato che la registrazione è stata compiuta ed non ricorrono ipotesi di decadenza, è quella di stabilire se il soggetto che abbia fatto uso del marchio (o segno distintivo), ne abbia fatto un uso consentito posto che il titolare della c.d. privativa non ha sempre un diritto all’utilizzo esclusivo ed incondizionato. Tra l’altro, la stessa Corte di Cassazione, seppur con un orientamento non consolidato, nel dichiarare che spetta “al giudice penale decidere in via incidentale sulla validità o meno di un marchio, registrato sia in sede comunitaria che nazionale, quando la questione assuma rilevanza ai fini della qualificazione giuridica del fatto oggetto dell’imputazione”, lascia chiaramente intendere che la verifica, circa l’esistenza di un marchio registrato, validamente da tutelare ai fini del giudizio de quo (e quindi, per un verso, non decaduto e usato effettivamente, per un altro verso, leso nel suo uso conferito in via esclusiva), è fondamentale per verificare la sussistenza dei delitti di cui agli artt. 473 e 474 c.p. . Peraltro, tale valutazione decisoria richiede anche un giudizio prognostico volto a “stabilire il livello della capacità imitativa del marchio, ovvero se si sia in presenza di un falso punibile o grossolano o comunque se sussista pericolo di confusione per l’acquirente”. Da ultimo, anche per quanto concerne i marchi o i segni distintivi riconosciuti in sede comunitaria, la Cassazione, successivamente all’entra in vigore della legge n. 99/09, ha stabilito che un “marchio rilasciato dall’autorità comunitaria preposta a valutare domande di protezione di beni di proprietà industriale, deve comunque rispettare, a norma dell’art. 53 del Regolamento CE 207/2009 del Consiglio, i diritti anteriori, discendenti dalla normativa nazionale, anche in base al diritto al nome, attribuendo così rilevanza al suindicato art. 8 CPI, comma 3” dato che la registrazione non può “essere sottratta al vaglio sulla validità del giudice nazionale”. Occorre comunque evidenziare che vi sono altre norme incriminatrici che possono essere invocate anche per i prodotti non registrati quale quello applicato nel caso di specie ovvero l’art. 517 c.p.; per giunta, al di là del caso in questione, basta menzionare, a titolo meramente esemplificativo, l’art. 4, comma 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Finanziaria per il 2004) [24] o ancora, l’art. comma 7, della l. 14 maggio 2005, n. 80 entrambi volti a tutelare, seppur in forme diverse, la proprietà intellettuale. In conclusione la tutela specifica penale avverso la contraffazione deve avere come presupposto la valida registrazione del marchio, unito ad un uso regolare. Vi possono essere strumenti alternativi di tutela penale, come il ricorso alla contestazione del reato di frode in commercio, ma ciò non è esaustivo dell’esigenza di tutela prioritaria del marchio.