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30 settembre 2011

Quando poeti e narrartori s’immergono nell’acqua

di Antonio Carlo Ponti

 Così Pindaro, poeta greco del V secolo a.C., nell’ode I,1 delle Olintiche. E già oltre cent’anni prima il grande filosofo e matematico presocratico Talete aveva posto l’acqua come principio (arché) e origine di tutte le cose. Facendo salti vertiginosi, si arriva al nostro conterraneo San Francesco d’Assisi de Il Cantico delle Creature:“ Laudato si’, mi’ Signore, per sor’acqua, la quale è multo utile, et humele, et pretiosa, et casta.” Francesco pensava all’acqua di sorgente, e con quattro aggettivi ne definiva magicamente la natura indispensabile, senza sapere che siamo fatti di acqua per due terzi. Umile perché esce dalla roccia o da un pozzo, utile perché non si può vivere senza, preziosa perché solo quando manca ne capiamo la bontà taumaturgica, casta perché netta e trasparente, bella da vedere e da ascoltare. Ma c’è anche l’acqua salata, anzi il mondo ne è ricoperto anch’esso per due terzi, le terre emerse sono in minoranza rispetto agli oceani, ai mari, ai laghi, ai fiumi, alle paludi. Insomma, l’acqua, la formula più semplice della chimica, H2O, due molecole di idrogeno e una di ossigeno, è al centro della scena. Ed è materia di dispute, se sia giusto che sovente come minerale costi quanto il vino, se sia giusto sciuparla come un bene secondario e marginale, se sia giusto privatizzarla, se sia civile che esistano popolazioni che ne sono prive – del resto anche del grano –, e così via elencando. Il tema dell’acqua è centrale per la vita sul pianeta, ed è stato trattato da che mondo è mondo da migliaia di scrittori e di poeti, di pittori e scultori; di musicisti, come Haendel di Musica sull’acqua, Respighi di Fontane di Roma, Tchaikovskij de Il lago dei cigni. In arte citiamo a mo’ d’esempio il Battesimo di Cristo di Piero della Francesca, la Nascita di Venere di Botticelli, le Ninfee di Monet. In scultura, di Gialorenzo Bernini, la Fontana dei fiumi in Piazza Navona (un fiume per continente: Danubio, Europa; Gange, Asia; Nilo, Africa; Rio della Plata, America). In letteratura riassumiamo con Francesco Petrarca e le sue “chiare, fresche e dolci acque”, con Omero e Dante e il loro Ulisse naufrago; o ancora il Melville di Moby Dick, l’Hemingway de L’uomo e il mare o Stefano D’Arrigo di Horcynus Orca. L’argomento, pur limitandoci alla sola letteratura, è così vasto che non basterebbero le pagine di questo numero di rivista; dunque è parso più congruo e interessante circoscriverlo all’Umbria, e anche qui condensando i materiali, che proprio non mancano. Vogliamo cominciare con il Vate italiano dell’Ottocento? Con Giosue Carducci che visitò l’Umbria e le dedicò alcune belle poesie? La più nota è senza dubbio Alle fonti del Clitunno, scritta nel 1876, durante una gita da Spoleto, dove era giunto quale ispettore scolastico, a Campello, rendendole – la poesia qualche volta serve – famose da ignote e selvagge che erano. Questi i primi versi: “Ancor dal monte, che di foschi ondeggia frassini al vento mormoranti… scendon nel vespero umido, o Clitunno, a te le greggi; a te l’umbro fanciullo la riluttante pecora nell’onda immerge…”. L’altro Vate, questa volta del Novecento, Gabriele D’Annunzio, ha lasciato una serie di sonetti dedicati ad alcune città dell’Umbria, non dimenticando citazioni acquoree, ma la curiosità sta nel fatto che il poeta beveva Acqua Amerino, così come Luigi Pirandello veniva in Umbria a passare le acque ai Bagni di Nocera Umbra. Sì, perché la nostra cara regione possiede sorgenti millenarie, che fa imbottigliare per modiche somme, trascurando il più rimarchevole sviluppo che darebbero gli Stabilimenti per cure idrologiche in termini di turismo termale, pressoché estinto. Ma l’Umbria ha il bel Trasimeno, che andrebbe alimentato un po’ meglio, ha il lago di Piediluco, suggestivo e dalle grandi potenzialità, e su questi specchi d’acqua, così come sui fiumi – a cominciare da Dante che canta Frate Francesco nell’XI del Paradiso: Intra Tupino e l’acqua che discende del colle eletto del beato Ubaldo, fertile costa d’alto monte pende… come Tevere, Chiascio, Clitunno, Topino, Teverone, Velino, Nera, la fantasia di poeti e narratori e saggisti s’è sbizzarrita, toccando spesso cime di alta intensità. Averardo Montesperelli, di nobilissimo lignaggio perugino, non era un poeta, ma sì scrittore e di forte qualità. Oltre a tre raccolte di racconti e a saggi storico-politici, ha lasciato uno stupendo Viaggio in Umbria (Perugia, Guerra Editore, 1966), nel quale nel raccontare liricamente e puntualmente la propria regione amatissima descrive e fiumi e laghi e fontane. Così, in anni molto più recenti, si deve a un abile narratore come Marco Ruffini il notevole romanzo intitolato Il lago, che non poteva non essere una interessante storia in location “lago di Perugia”, il Trasimeno. Un paio d’anni fa il designer e artista Alfred Hoennegger mi regalò un libro illustrato da suoi deliziosi acquerelli, Acque sorgenti, del 2002, dovuto alla penna di Piero Fabbri,giornalista pubblicista e difensore civico, un libro piccolo come mole ma affascinante. Già il sottotitolo, Avventure dei sensi narrate dall’acqua, dà la misura della cifra con cui l’autore affronta l’argomento, non paesaggistico o strumentale, ma sin estetico, cioè mettendo insieme, in contemporanea, più sensi, dall’”assaggio” materiale alle sensazioni e suggestioni innervate o suggerite dall’acqua, elemento madre dell’umanità e della storia fin dal primo manifestarsi, dalla sorgente, cui si attinge vita, nutrimento, nettezza, amore e serenità, il tutto entro confini idillici e lirici. Il libro racconta l’incontro con la fonte di Sassovivo di Foligno, con Bagnara di Nocera, con la Fonte delle Mattinate di Serravalle del Chienti, con la Vescia di Foligno, con Rasiglia, con La Fonte delle Crastiche di San Sebastiano, e con altre vene sorgive del folignate, che è il suo abita. Certo, questa rassegna veloce raccoglie solo alcune voci e qualche spunto letterario, ben altro si potrebbe trattare, se ho fra le mani addirittura un’antologia interamente composta da poesie e prose sul quarto lago d’Italia. Parlo de Il Trasimeno in poesia, compilato da Publio Trento Bartoccioni (Perugia, Benucci Editore, 1983). Qui sono raccolti testi di ben trenta autori, dal trecentesco Fazio degli Uberti ai contemporanei, sui quali, passando per lord George Byron, svettano Vittoria Aganoor Pompilj e Maria Alinda Bonacci Brunamonti, troppo conosciute. Così mi piace concludere con i versi periclitanti del poemetto Trasimeno di un altro Averardo Montesperelli, un antenato vissuto nel pieno Ottocento. Questo l’incipit: Mille anni anzi che Orfeo le tracie selve Beasse d’armonie che mansuete Le più crude rendeano immiti belve, Del nostro lago in su le sponde liete Spesso d’un giovin vate a udire i canti Raccor soleva il pescator la rete… Beh, certo, sono più belli i seguenti versi di Thomas Stearns Eliot, tratti da La terra desolata, testo basilare della poesia d’ogni tempo: … E niente roccia Se vi fosse roccia E anche acqua E acqua Una sorgente Una pozza fra la roccia Se soltanto vi fosse suono d’acqua Non la cicala E l’erba secca che canta Ma suono d’acqua sopra la roccia Dove il tordo eremita canta in mezzo ai pini Drip drop drip drop drop drop drop Ma non c’è acqua I poeti spesso anticipano i tempi, sono come profeti; il pianeta rischia molto se non si attuerà una decrescita intelligente, mettendo fine allo sfruttamento delle risorse non rinnovabili e inquinanti. Mancherà l’acqua, e non è una corretta eredità questa che lasceremo ai nostri pronipoti. Ci vuole, detto in parole povere, più rispetto per i posteri.