VISIONI D'IMPRESA
30 settembre 2013
Due musei per imparare a conoscere i piaceri quotidiani: cioccolato e vino
di Maria Luciana Buseghin
Casa del Cioccolato Perugina
Il Museo storico Perugina – che dal 2007 costituisce con la Scuola del cioccolato e la fabbrica la Casa del cioccolato Perugina – nasce per celebrare i 90 anni dell'azienda con l'intento di rendere fruibile una parte della notevolissima quantità di materiale conservata nell'Archivio storico Buitoni-Perugina istituito negli anni '70. Di facile fruizione grazie anche a un allestimento moderno e
dinamico, con soluzioni estetiche che nascono dall’oggetto stesso dell’esposizione didattica ma sempre elegante (per esempio pareti di cabosse e pavimenti di cioccolatini), con, a fine percorso, il Gift Shop.
Nella Scuola del cioccolato s’insegna a tutti i golosi ed appassionati a lavorare il cibo degli dei, e a riconoscere le diverse caratteristiche e qualità del cioccolato, creando abbinamenti anche insoliti. Complementare lo spazio destinato alla degustazione in cui 4 pannelli offrono al visitatore motivo di gioco, ma anche di riflessione sul proprio rapporto col cioccolato e spunti di psicocioccolatoterapia, ponendo domande sulla preferenza per forma, tipologia del cioccolato e del ripieno, e sul comportamento verso l’incarto. Una sosta piacevole per i sensi e per la mente, prima di affrontare la visita alla fabbrica, dopo l’impegnativo percorso attraverso le quattro sezioni del museo di cui la prima è dedicata proprio a lavorazione e storia del prezioso seme di cacao.
La ricchezza di foto, documenti, incarti e confezioni presenti, infatti, riempie gli occhi e la mente mentre il profumo delle caramelle già arriva al naso: si possono ammirare in affollate ma ordinate bacheche tante memorie della storia imprenditoriale e territoriale della storica azienda dolciaria perugina. La vista di tanti materiali spesso così evocativi è poi integrata da postazioni audiovisive in cui si possono visionare filmati con tecniche di fabbricazione, eventi speciali celebrativi o promozionali, e la carrellata di spot pubblicitari dagli albori della TV ad oggi.
La seconda sezione illustra le vicende istituzionali: “Una storia d'azienda”, dal 1907 in cui era semplicemente Società Perugina per la fabbricazione dei confetti, a La Perugina- Cioccolato e Confetture del 1920, alla cessione del marchio alla Nestlé nel 1988.
La terza sezione é dedicata alla storia commerciale: “Prodotti e reti di vendita”, dalle confetture, caramelle e praline degli anni iniziali, alle tavolette nel 1921, al Cazzotto poi Bacio del 1922, ai Tenerelli degli anni ’30, alla linea completa di uova pasquali del 1935, tutte specialità che vengono riproposte, spesso modernizzate e in formato tascabile, dagli anni ’60-’70 fino ad oggi, con innovazioni di rilievo, dettate dalle esigenze del mercato, come il Bacio Bianco e Nero Perugina, lanciati negli ultimi anni.
Tante le testimonianze dei prodotti in vendita dal 1919 in una rete di negozi Perugina che nel 1939 arrivano a 50: intramontabile il Grande Assortimento Perugina del 1928 che cambia il metodo di commercializzazione dei cioccolatini da sfusi a già confezionati, regalo perfetto per onorare/incrementare relazioni per cui si realizzano confezioni sempre più ricercate in ceramica, vetro, velluto e damasco, natalizie e pasquali, bomboniere e, negli anni ’50 e ’60, scatole con coperchio-quadro già predisposto col gancetto.
La funzione primitiva del museo, e cioè quella di illustrare attraverso i materiali conservati ed interconnessi le radici storiche dell'azienda, ha fatto sempre più posto alla funzione comunicativa, facendone un fondamentale strumento di marketing aziendale. Del resto, proprio alla comunicazione – cui è dedicata la quarta sezione del Museo - è stata sempre riservata un’attenzione specialissima dai vertici delle aziende Perugina e Buitoni tanto che analizzandone forme, tecnologie, modalità e stili, entriamo in un mondo affascinante che ci permette di intravedere lo sviluppo di valori, norme di comportamento, costumi della società italiana e in particolare della borghesia nel Novecento.
La prima operazione di marketing territoriale dell’azienda nata nel 1907 fu, nel 1911 l’istituzione di una connessione che non verrà mai meno - tra il marchio Perugina e il grifo di Perugia. Nelle vetrine del Museo, tante testimonianze dello “stile perugina” creato da Federico Seneca, uomo d'ingegno e d'ironia, direttore artistico dell’ufficio pubblicitario dal 1920 a metà degli anni ’30, espresso soprattutto nella cartellonistica urbana, ma anche in giornali e periodici, manifesti, incarti, scatole, cartoline, inserzioni, calendari e persino segnalibri.
Geniale e duratura - tanto duratura e feconda da dar vita anche a concorsi informatici tra 2009 e 2010: “Piaceri d’autore” e “Scrittore al bacio” - la trovata del bigliettino con frasi d’amore inserito nel Bacio, idea che non si sa se sia stata di di Luisa Spagnoli o di Seneca: sicuramente sua l’immagine della famosa coppia di innamorati tratta dal Bacio di Hayez cui più tardi aggiunse la volta stellata. Di Gianni Angelini, art director fino alla metà degli anni '50 - noto per la cartellonistica di grandi dimensioni con cui vince il Premio per la pubblicità stradale nel 1953 al festival di Cannes, periodo anche della Coppa Perugina che si corre in auto e comporta l'organizzazione di tratte ferroviarie nuove e viaggi speciali - è lo slogan “Perugina: il dono delle ore liete” che ha avuto straordinaria fortuna anche negli anni ’70.
Ricchissimo e divertente lo spazio dedicato alla prima campagna multimediale dell’imprenditoria italiana, quella dedicata ai prodotti Perugina e Buitoni tra 1934 e1937 fondata sui “Quattro moschettieri”, parodia dell’opera di Dumas: realizzata attraverso rivista radiofonica, disco, libro, e soprattutto album di figurine con una loro borsa valori, stregò gli italiani, bambini e adulti, ma fu interrotta dal regime fascista in quanto diffondeva un consumismo incoerente con la sua ideologia. Interessante e significativa per la comprensione del costume nazionale, la raccolta completa degli spot televisivi dal 1956 ad oggi che chiude il percorso.
Il MUVIT Museo del Vino di Torgiano
Al di là della ricchezza, varietà e significatività dei reperti e persino oltre l’impostazione scientifica e innovativa dell’esposizione e della raffinatezza e fruibilità dell’allestimento, il Museo del Vino di Torgiano, ciò che lo rende pressochè unico è l’essere un museo che supera la dimensione aziendale configurandosi come un contenitore sempre in divenire di oggetti materiale e immateriali che costituiscono, e suggeriscono al visitatore, un percorso storico-sociale, storico-artistico, antropologico, agroeconomico e agroalimentare non condizionato dalle esigenze commerciali e promozionali della produzione vitivinicola Lungarotti. Si può addirittura sostenere, come hanno fatto diversi studiosi di settore, che è lo sviluppo imprenditoriale e di notorietà dell’Azienda vitivinicola che ha avuto come conseguenza l’istituzione stessa del Museo, e poi la sua implementazione e attrattività.
Il Museo, infatti, nasce nel 1974, grazie alla lungimiranza, all’impegno infaticabile, alla competenza e a una passione, derivata dalla consuetudine con la campagna, di Maria Grazia Marchett che l’ha ideato e realizzato, con il sostegno del marito Giorgio Lungarotti, a partire dalla fine degli anni ’60, in sintonia con la tendenza dell’epoca a fare della cultura uno strumento di comunicazione d’impresa - ma differenziandosi nettamente dallo spirito e dall’impostazione di altre esperienze coeve, o anche successive, in cui spesso il museo finiva per costituire soltanto una forma di autopromozione – e precorrendo quello che di lì a poco si definirà marketing museale e implicherà modalità e tecniche nuove per costruire e promuovere l’immagine aziendale, i rapporti con il mondo e specialmente con i consumatori, la promozione stessa del prodotto, spesso veicolata indirettamente. E tutto questo sarà ancora più evidente ed operativo dal 1986 anno in cui nasce la Fondazione Lungarotti onlus, che, direttore la Marchetti Lungarotti, si occupa della gestione del Museo e della promozione/realizzazione di cataloghi, pubblicazioni e iniziative diverse e di mostre, per cui molti pezzi vanno in giro per il mondo promuovendo quindi, anche se indirettamente il marchio delle Cantine Lungarotti, peraltro assente sia nel Museo che nella Fondazione. Per esempio, la partecipazione con quasi 100 pezzi del MUVIT alla mostra “Verso il 2015. La cultura del vino in Italia a cura di Massimo Montanari, Yann Grappego e Louis Godart che si tiene dal 26 ottobre al 30 novembre 2013 a Roma nel complesso monumentale del Vittoriano.
Tutto questo come risultato di un’attività di ricerca scientifico-divulgativa sempre di alta qualità e culturalmente innovativa che indaga via via tematiche derivanti dalle sezioni del Museo, costituito da 20 sale con quasi 3000 reperti, o da questioni centrali nella economia vitivinicola locale e nazionale la cui storia e andamento si intende approfondire per una migliore comprensione dei processi di formazione che possa portare a una migliore programmazione e sviluppo per il presente e il futuro. Ė chiaro, dunque, come il Museo abbia costituito un elemento di grande innovazione qualitativa nell’usuale comunicazione d’impresa, esempio anche per molte altre aziende, riuscendo a trasferire mediaticamente il vino, prodotto locale e tradizionale, in un ambito nazionale e internazionale proprio grazie all’inserimento degli elementi costitutivi della sua storia tradizionale e territoriale nella più ampia storia della coltura vitivinicola lungo il corso dei millenni nel bacino del Mediterraneo e dell’Europa continentale. Insomma, storia, arte, antropologia e archeologia, come strumenti per costruire una identità produttiva moderna che fa le sue scelte in base anche alle proprie radici, e non soltanto al mercato e alle mode, per cui non si “sperde” e soprattutto non perde il suo carattere nei meandri della globalizzazione, e che è capace di trasmettere e di esportare lo “stile di vita” italiano: tutto ciò, favorendo il rinnovamento e la rigenerazione della cultura, non solo vitivinicola, e coì fornendo così nuove energie allo sviluppo economico e sociale.
Ne consegue, perciò, che la visita al Museo del Vino – che ha come filo conduttore il tema vitivinicolo e bacchico per la lettura delle vicende storiche delle quali i singoli oggetti divengono espressione - sia proficua e significativa per un pubblico molto diversificato che potrà ammirare reperti archeologici cicladici, hittiti, greci, etruschi e romani, siano essi brocche e vasi o attrezzi e corredi tecnici per la viticoltura e la vinificazione. Moltissimi i contenitori vinari in ceramica di età medievale, rinascimentale, barocca e contemporanea, attribuiti alle categorie alimentazione, medicina, mito; ricchissime la raccolta di incisioni e disegni dal XV al XX secolo e quella delle edizioni colte di testi sulla viticoltura e l’enologia nella letteratura e nella trattatistica. Manufatti di arte orafa, tessuti ed altri oggetti d’arte del quotidiano come l’importante raccolta di antichi ferri da cialde, documentano l’importanza del vino nell’immaginario collettivo dei popolazioni del Mediterraneo e dell’Europa continentale.
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